Archivio per agosto 2008

Essere o non essere un Isbn

Cercavo “La fine dell’amore” di Ilaria Bernardini. Copertina bianca, il codice a barre al centro, finte macchie di inchiostro, come ditate su una pagina lucida, il bordo delle pagine rosso. E’ un libro di Isbn, la casa editrice del gruppo Il Saggiatore. L’ho cercato da Feltrinelli (Pavia) ma non lo avevano, però si poteva ordinare. Poi sono andata da Loft 10, libreria aperta da poco in piazzetta Cavagneria (Pavia). Sono andata a colpo sicuro perché avevano due piani di uno scaffale interamente dedicati a Isbn. Ho girato tra i libri, ma non c’erano più copertine bianche in fila una accanto all’altra. Così ho  chiesto. E la risposta mi ha colpita. Li hanno resi tutti, in blocco. Da quando hanno aperto – sei mesi credo – ne hanno venduti solo due. Una questione economica. “Ci abbiamo creduto all’inizio – mi spiegano dalla libreria – ma non ha funzionato. La gente non è attratta dalle copertine tutte bianche, preferisce quelle piene di immagini”. A quel punto mi sono ricordata del giorno in cui durante una lezione in un’università avevo conosciuto i “creatori” di Isbn. Quella di fare dei libri diversi dagli altri ma molto simili fra di loro era l’idea del loro progetto. Libri che solo con attenzione potevi distinguere: pagine rosse per la narrativa, gialli i saggi e blu per quei libri che sfuggono alle definizioni. Libri studiati nell’estetica, oggetti di culto, persino “soprammobili” da tenere in casa in bella vista per darsi quel tocco in più. Libri che sono anche oggetti. E invece evidentemente quello che a me incuriosisce e attira non trova l’approvazione del pubblico. Sarà… Poi però a Pavia Isbn ha trovato il suo  posto. La libreria il Delfino sotto i portici di piazza della Vittoria li tiene in uno scaffale, raggruppati. Non c’era “La fine dell’amore”, però erano lì. Salvi.

La notte di Amore e Psiche

Psiche era bella, come una dea. Ma era di anima e carne. Era così bella da destare l’ira di Venere che mandò suo figlio Eros a vendircarsi per lei. Amore doveva farla innamorare dell’uomo più brutto al mondo per condannarla a una vita triste e povera. Ma Psiche era bella, fragile e terribile insieme. E amore non poteva resistere. La fece portare nelle sue stanze, dove Psiche poteva incontrarlo solo di notte. Dovevano restare nascosti agli occhi del mondo. Lei non doveva guardarlo, doveva solo amarlo. Fidarsi delle parole, delle mani. Ogni notte Amore andava alla ricerca di Psiche, ogni notte i due bruciavano la loro passione in un amore che mai nessun mortale aveva conosciuto. Ma restare avvolti nel buio della notte era troppo difficile per Psiche, dietro quella storia sospesa poteva nascondersi un pericolo. Così una notte, mentre lui dormiva prese una lampada e gli illuminò il volto. Amore era bello e delicato, non poteva farle del male. Ma nel tentativo di baciarlo una goccia d’olio bollente gli cadde sulla spalla. Psiche aveva violato il loro accordo e su di essa si scatenò l’ira e la vendetta di Venere. Ma Amore non poteva permettere quelle sofferenze. Chiese a Zeus di farne una dea e di poterla sposare. E Amore e Psiche diventarono una cosa sola.

Occhi e mani si cercano, tra lenzuola calde. Il braccio di Amore avvolge Psiche e la sostiene. Canova ha scelto di mostrare la passione tra i due amanti, li ha visti nel momento in cui tra loro c’è intesa, fiducia. Li ha lasciati così, sospesi. Io ho sempre letto questa storia come l’unione del razionale all’irrazionale, come il cammino difficile di tanti amori. Ma ho sempre visto in questo abbraccio lo spiraglio che anche il mito concede: Amore e Psiche possono stare insieme. Se non per sempre, possono pretendere uno dall’altra la notte, la passione nel buio, lontani dal sole, illuminati solo dalla pallida luna e da qualche stella curiosa. Poi Psiche chiede di poter avere di più. Non sempre l’abbraccio può essere illuminato dal sole e questo a volte pesa, tanto quanto fa bene quella mano sulla pelle. Finché una goccia d’olio bollente non sveglia gli amanti dal sogno, dalla notte, dal gioco di prendersi e stare bene. Si aprono gli occhi. Cosa vedi dipende da cosa cerchi. Cosa senti invece è il regalo della mano di Amore sul seno di Psiche. E’ la carezza di Psiche sulle pieghe del viso di Amore.

Intercity 666 – carrozza 6

Treno intercity 666 Fausto Coppi delle 18.19, carrozza 6 posto 43. Salgo a Genova. Mi guardo attorno e metto le cuffie dell’ipod. Sto così per un po’, tento di leggere qualche pagina di Firmino, un capitolo forse due poi tolgo anche la musica dalle orecchie. Lo scompartimento è pieno. Davanti a me il 44 è un signore sulla settantina, abbastanza abbronzato, curato, piccolo di statura. Accanto a lui due ragazze. Al 46 una ragazza ha gli occhi verde salvia, i capelli lunghi e ricci, l’amica è truccata, più in carne, i capelli scuri raccolti in una coda alta. Accanto a me invece c’è una signora sui sessanta. Ha grossi occhiali da sole, una borsa di paglia sulle ginocchia. La ragazza seduta accanto al finestrino invece la vedo poco, ha anche lei la musica nelle orecchie, una maglietta lilla. Quando spengo la musica mi ritrovo nei loro discorsi. Parlano di coppie e di amore.

44. Il signore è vedovo da quasi 20 anni, dice che è stata dura all’inizio e che ora un po’ si è abituato, ma che per un uomo “ritrovarsi senza la sua donna è molto più dura, perché la donna sa arrangiarsi”. Ha tre figli e cinque nipoti. Il terzo figlio – 41 anni – vive con lui, non si vuole sposare o almeno così sembrerebbe.

46. La ragazza riccia non ha nemmeno 40 anni, ha due figli, un maschio e una femmina. E’ divorziata. Interrogata dalla signora di fronte risponde che “ora sta bene e che preferirebbe fosse sparito del tutto”. Perché invece continua a vedere i figli. Non paga gli alimenti e lei non gli vuole fare causa perché anche se dovessero togliergli il diritto a vedere i figli loro comunque sono molto legati al padre, farebbe un torto ai due bambini e non a lui. Lavora nella chirurgia plastica. Dice che bisogna imparare da subito che nessuna storia è per sempre.

48. E’ l’amica della “riccia”. Molto più in carne, ha una maglietta turchese con una scollatura ampia. Ha i capelli scuri, è tagliente. Non ha figli, “io sono perfetta era un problema di  mio marito”. E’ stata sposata cinque anni, si sono separati e ora aspetta il divorzio. E’ molto critica nei confronti degli uomini e lo spunto viene proprio dal figlio 41enne del vedovo: uno che si vuole divertire.

45. La signora – ha circa 60 anni – ha la pelle chiara. Si toglie gli occhiali da sole dopo un po’ che sta parlando con le due ragazze. Ha gli occhi chiari, ma la pelle intorno – dice – è sempre stata rovinata, non dall’età, è così da sempre, “ma ormai non ha senso intervenire”. E’ una bella donna o almeno lo deve essere stata, ora ha il viso stanco. Sua figlia è separata. “Non bisogna mai chiedere i motivi, i genitori devono sapere solo fino a un certo punto”. “Ma ora sua figlia come sta?”, chiede la riccia. “Bene, meglio di prima”, la risposta che sapeva di sentirsi dire.

Fuori servizio

Metropolitana di Genova, stazione di Principe

Prendo la metropolitana domenica mattina, alla stazione di Principe. La riprendo a San Giorgio la sera o a volte il lunedì mattina. Prendo la metropolitana di Genova dal giorno dell’inaugurazione perché è sempre stata perfetta per andare in stazione dal centro storico. Solo che qualcosa non va. Stamattina una delle due scale mobili della fermata di Principe era fuori uso. E’ così da almeno un mese. Ma è così a più riprese. Avrei dovuto segnare su un calendario i giorni, ma non sono stata così meticolosa. Capita troppo spesso di vederle fuori uso le scale mobili, smontate o sbarrate da transenne gialle. Capita ancora troppo spesso nei giorni di pioggia di vedere gocce che cadano rapide dal soffitto.

Mentre aspettavo la metro delle 7.30 ho letto il cartello “Amt ringrazia chi viaggia con il biglietto”. Io compro sempre il biglietto, ma stamattina è stato complicato. Per fortuna sono uscita in anticipo, ma in ordine ho trovato: edicola e tabacchino chiusi, le due macchinette automatiche della stazione di San Giorgio “fuori servizio”, altra edicola – aperta – ma senza biglietti e che mi segnala che anche le altre macchinette vicino alla fermata del bus sono rotte. Ho comprato il biglietto da una ragazza che per caso ne aveva uno in più. Mi avrebbero fatto la multa nonostante l’elenco di queste coincidenze.

Latin gigolò

“Balli?” Per la risposta basta un cenno della testa. Lei chiede, lui stacca le spalle dalla parete del gazebo e prende per mano l’aspirante ballerina. Ballano, lui non sempre con trasporto, molto più spesso sono gesti meccanici di chi sta facendo ballare ragazze da ore. Corregge qualche passo, dà qualche suggerimento. Finisce la canzone, si ringrazia e ciascuno torna al suo posto. Lei al tavolo, lui a bordo pista, in attesa di soddisfare le necessità danzerine di altre clienti del locale, immerso nell’aria umida e fresca di un sabato notte nel pavese. Fanno gli animatori di balli latini per cui serve il partner e non si può solo ballare in pista con il gruppo di amici.

“Ma non sono più gli uomini a invitare le donne?” (si chiede per provocazione)
“Se vuoi ballare sono qui” (quindi sei tu che devi chiedere)

La pista di musica latina funziona così, l’ho capito sabato sera. A bordo pista animatori-gigolò aspettano che le clienti del locale chiedano di poter ballare. Loro sono bravi, sanno guidare e insegnare i passi, soddisfano le esigenze delle clienti. C’è anche la versione femminile del servizio. Una ragazza alta, capelli raccolti nelle treccine, un fisico incredibile fa ballare uomini con la camicia slacciata, i capelli bianchi, la pelle abbronzata. Al tavolo chi osserva accanto a me sibila “sfruttamento della prostituzione”. In effetti c’è qualcosa che infastidisce in questa scena. Però provo anch’io, chiedo a un ballerino di insegnarmi i passi. Mastica il chewing gum, mi prende per mano, “un-due-tre giro giro”. Finisce la canzone, “sei bravissima” dice lui e io penso “lo dice a tutte le clienti del locale, così la prossima volta tornano perché si sentono fighe”. Ovviamente sto zitta e ringrazio, torno a sedermi al tavolo. Non gli faccio domande. Anche se vorrei sapere quanto lo pagano, quante sere a settimana lavora, se fa solo quello, se ha anche una scuola di latino, se non si sente sfrutatto, se non gli dà fastidio doversi prestare a chiunque. Il cervello non si spegne. Ma è persino stato divertente e quando mi rimetto a sedere ci penso. Continua a sembrarmi una strana usanza.

Una coperta per la Lanterna

Ai piedi della lanterna, stesa sulla roccia una bandiera di Genova un po’ anomala illumina la notte. Non sono presenza fissa a Genova da tempo e solo nei giorni scorsi mi hanno detto, imboccando la sopraelevata in zona lanterna, della novità. Leggo sul sito di Repubblica-Genova (perché ovviamente dopo essermi sentita dire “c’è una bandiera di Genova luminosa sotto la Lanterna” ho cercato di capirci qualcosa) che sono oltre 35mila lampadine che “si spegneranno e accenderanno componendo sequenze casuali, per poi definire, con l’accensione simultanea di tutto il parco led, una colossale bandiera di Genova”, come si legge nella didascalia che accompagna otto fotografie. Ammetto che dal vivo non l’ho vista, e potrebbe anche essere uno spettacolo suggestivo ed emozionante, ma a me sembra una “cagata pazzesca”, rubando l’espressione del genovese Paolo Villaggio che con il suo Fantozzi commentava la Corazzata Potemkin. Proprio ai piedi della Lanterna si trova la centrale dell’Enel, che molti non vorrebbero lì. C’è un collegamento con le 35mila lampadine? Non so, è un dubbio senza risposta.

Binario 18

“La vita è ciò che facciamo di essa
I viaggi sono i viaggiatori”
(Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine)

Aspetto il treno delle 20.19 da Genova Principe per Pavia. Il cielo è ancora chiaro, sono appoggiata ad un muretto. Poco lontano una ragazza sta chiudendo il bar del binario. Sono presa dall’attesa, in quella forma che ti porta a osservare. Tracce di un caffè bevuto prima di partire sono non lontane da me, un bicchiere di quelli marroncini fuori e bianchi dentro è appoggiato al mio stesso muretto. Sono in anticipo è questo il problema. Così ho tempo di guardare, è questo il bello. Due ragazze con un enorme zaino con ricamata la bandiera del Canada si siedono per terra ad aspettare il mio stesso treno. Ci sono altre due ragazze, trascinano a fatica la valigia su per le scale. Ci sono i libri, dicono. Probabilmente tornano a casa per l’estate. Cè un ragazzo, è di Milano ma è stato al mare, poi due signore straniere. Arriva un ragazzo, capelli rasati corti corti, una canotta da basket viola. Chiede dei soldi. “Vorremmo fare un biglietto in due per riuscire a partire per Torino. La mia ragazza è venuta a trovarmi due mesi, ma ora non riusciamo a comprare il biglietto”. Chiede qualche spicciolo. Il primo treno che possono prendere è quello delle 20.32 (hanno perso quello delle 20.08 che partitva dallo stesso binario, il 18). E’ un regionale costa 8,75 euro. Penso a cosa non rispondono le persone a cui chiede i soldi, a cosa pensano quando dicono “no, mi spiace”. Pensano che c’è qualcosa che non quadra, che non ha una bella faccia, che forse è una scusa. Ma il ragazzo di Milano, mentre mangia una focaccia farcita con formaggio e prosciutto, si toglie dalle spalle la borsa, cerca il portafoglio e gli dà qualche moneta. Poi la raccolta continua, su un alro binario, poi su un altro ancora. Il treno arriva puntuale, forse ha qualche minuto di ritardo, ma non è niente se penso che il treno prima (quello delle 19.19) è rimasto al binario 14 mezz’ora. Salgo sul treno, cerco il mio posto. Fuori è ancora chiaro, tra una galleria e l’altra il cielo è ancora bianco. I viaggi sono i viaggiatori, sono quello che vedono, come lo vedono, a chi lo raccontano.

Dicesi Kitsch

Rosa con pelucchi che spuntano dalla cornetta e dalla base. Una vetrina milanese di telefoni in offerta, una piramide di simboli del Kitsch. Come una poltrona rivestita di stoffa zebrata o il souvenir portato via da Venezia, una gondola che si illumina come uno di quei lumini da monumento funebre. Kitsch rimanda a cattivo gusto, sei kitsch se giri con lo smalto a quadretti su terribili unghie finte o se mischi i colori a voler imitare Arlecchino. E’ però una parola abusata, oggi ciò che non ci sembra del tutto ordinario finisce per cadere in questa categoria… Forse per questo non mi dispiace.


I BRUSCHI DETTAGLI

Raccontare, vedere poi ascoltare e scrivere. Leggere, chiedere, curiosare. E una pagina bianca per dirlo a qualcuno. Non il Tutto, solo qualche dettaglio

SUL COMODINO

Paul Auster, un po' di Pamuk, Erri De Luca

ULTIME LETTURE

Un uso qualunque di te (Sara Rattaro)

Twitter factor (Augusto Valeriani)

La vita è altrove (Milan Kundera)

1Q84 (Haruki Murakami)

Zita (Enrico Deaglio)

L'animale morente (Philip Roth)

Così è la vita (Concita de Gregorio)

I pesci non chiudono gli occhi (Erri De Luca)

Cattedrale (Raymond Carver)

Lamento di Portonoy (Philip Roth)

Libertà (Jonathan Franzen)

Il dio del massacro (Yasmina Reza)

L'uomo che cade (Don De Lillo)

Il condominio (James G. Ballard)

Sunset limited (Cormac McCarthy)

I racconti della maturità (Anton Cechov)

Basket & Zen (Phil Jackson)

Il professore di desiderio (Philip Roth)

Uomo nel buio (Paul Auster)

Indignazione (Philip Roth)

Inganno (Philip Roth)

Il buio fuori (Cormac McCarthy)

Alveare (Giuseppe Catozzella)

Il Giusto (Helene Uri)

Raccontami una storia speciale (Chitra Banerjee Divakaruni)

Cielo di sabbia (Joe R. Lansdale)

La stella di Ratner (Don DeLillo)

3096 giorni (Natascha Kampusch)

Giuliano Ravizza, dentro una vita (Roberto Alessi)

Boy (Takeshi Kitano)

La nuova vita (Orhan Pamuk)

L'arte di ascoltare i battiti del cuore (Jan-Philipp Sendker)

Il teatro di Sabbath (Philip Roth)

Sulla sedia sbagliata (Sara Rattaro)

Istanbul (Orhan Pamuk)

Fra-Intendimenti (Kaha Mohamed Aden)

Indignatevi! (Stéphane Hessel)

Il malinteso (Irène Némirovsky)

Nomi, cognomi e infami (Giulio Cavalli)

Tangenziali (Gianni Biondillo e Michele Monina)

L’Italia in seconda classe (Paolo Rumiz)

ULTIME VISIONI

Be kind rewind (Michel Gondry, 2007)

Kids return (Takeshi Kitano, 1996)

Home (Ursula Meier, 2009)

Yesterday once more (Johnnie To, 2007)

Stil life (Jia Zhang-Ke, 2006)

Cocaina (Roberto Burchielli e Mauro Parissone, 2007)

Alla luce del sole (Roberto Faenza, 2005)

Come Dio comanda (Gabriele Salvatores, 2008)

Genova, un luogo per dimenticare (Michael Winterbottom, 2010)

Miral (ulian Schnabel, 2010)

Silvio forever (Roberto Faenza, 2011)

Election (Johnnie To, 2005)

Oasis (Lee Chang-dong, 2002)

Addio mia concubina(Chen Kaige, 1993)

La nostra vita (Daniele Luchetti, 2010)

Departures (Yojiro Takita, 2008)

La pecora nera (Ascanio Celestini, 2010)

Flags of our fathers (Clint Eastwood, 2006)

L'uomo che fissa le capre (Grant Heslov, 2009)

Buongiorno Notte (Marco Bellocchio, 2003)

Vallanzasca - Gli angeli del male (Michele Placido, 2010)

Paz! (Renato De Maria, 2001)

Stato di paura (Roberto Burchielli, 2007)

Gorbaciof (Stefano Incerti, 2010)

L'esplosivo piano di Bazil (Jean-Pierre Jeunet, 2008)

Confessions (Tetsuya Nakashima, 2010)

127 ore (Danny Boyle, 2010)

Qualunquemente (Giulio Manfredonia, 2011)

American life (Sam Mendes, 2009)

Look both ways (Sarah Watt, 2005)
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