L’auto lascia l’ultima curva, piccola tra colline aspre. Quattro generazioni strette sui sedili. Tutte donne. La bisnonna avvolta in abiti neri, di un lutto che si rinnova, che raccoglie la tradizione delle pacchiane, le vecchie del paese che si mostrano come parte di un rito, il pizzo bianco che esce dal seno, e strati stretti di stoffa nera che stringono la vita e poi ricadono in gonne vaporose. Poi la nonna, la mamma, due zie. Il punto di vista di una bambina di cinque anni. I codini, il musetto attento. L’auto accosta, un po’ prima dell’ingresso del cimitero. Non ci sono statue, poche cappelle. Il cimitero di Gimigliano, case arroccate in provincia di Catanzaro, è un lungo elenco di loculi. Lapidi semplici, una foto, un vaso. Si spegne il motore. I fiori fasciati nella plastica per sostituire corolle secche non hanno profumo. L’omaggio a parenti perduti.
“Mamma, guarda quei tre signori”.
“Quali? Guarda che non c’è nessuno”.
“Mamma, ma dai. Sono lì, vicino al cancello. Quello con il piede appoggiato al muro è lo stesso che c’è nella foto a casa”.
In auto c’è solo silenzio. Stanno tutti zitti, tranne la bambina. La sua voce si fa insistente. Ha già il tono fermo di chi da grande saprà far sentire i suoi pensieri. La voce più anziana supplica in dialetto stretto di andare via.
I fiori sono rimasti nella plastica. Nessuno quel giorno è entrato al cimitero. C’è quella bambina indispettita da questi adulti che proprio non le hanno voluto credere. “Ma avevi già visto quegli uomini?” La bambina ci pensa. Solo nelle foto. Uno, quello che si appoggiava con un piede al muro, è lo stesso che c’è sul comodino della mamma. Lo ha riconosciuto subito. Poi si guarda attorno, in quella vecchia casa dove va ogni estate. L’altro signore lo riconosce in un’altra fotografia.
Zio Fiorentino.
Quello sul comodino era il papà di mia mamma. Nonno Clemente. Morti giovani, entrambi. Io sono quella bambina. Non ricordo niente di quel giorno. Gli altri, anzi le altre sì. Mia mamma, mia nonna, mia zia. Non me ne avevano mai parlato. Me lo hanno raccontato due giorni fa. Ancora con gli occhi che guardano lontano, come a cercare a tutti i costi di vedere quegli uomini. Un padre, uno zio. Un marito. Mia mamma dice che aveva capito subito che stavo descrivendo il nonno, si metteva sempre in quella posizione. Io non potevo saperlo, non l’ho mai conosciuto. E ora, dopo vent’anni, non so cosa dire. Però rivedo questa scena che mi è stata raccontata, come in un vecchio film, visto da altri.