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Appunti sparsi

scrittaNessuno può sognare per te.

Lisbona sembra dare a chi ha voglia di scoprirli scorci in cui sedersi a pensare. Ci sono finestre su cui è possibile arrampicarsi e osservare i tetti, piccole stradine che salgono e poi scendono, ripide e strette. Ci sono finestre colorate che danno speranza, alcune semplici, altre decorate fino al kitsch. Porte minuscole, impossibile entrarci, eppure sono la porta di ingresso di piccole case.

E’ una città che accoglie, che sopporta i gruppi di turisti, i commenti stupidi. La gente è pronta ad aiutarti, ti soccorre in una lingua qualsiasi al tuo solo accennare una parola di portorghese, timido sforzo per non dover sempre pesare sulla bontà altrui. Così ti trovi al cafè Brasileira, a sorseggiare un cafè expreso e il cameriere si ferma a sfogliare il tuo giornale, ti chiede se può dare un’occhiata anche il vicino. In portoghese, poi a gesti. Il punto è che non importa.

Dopo pochi giorni sembra di essere qui da sempre. La mappa della città non serve più. Ricordi le strade, i passaggi, l’ascensore che accorcia il tragitto, l’elevador che poi è una funicolare, ancora in legno, profuma di tradizione. Un omino con la polo beige ti apre lo sportello per salire, poi lo chiude prima di partire. Butta in discesa questa scatola gialla, che attraversa le case e si affaccia sulla vita degli altri. Poi arrivati in fondo, ti chiede il biglietto, tira fuori la chiave, apre il cancello e ti lascia uscire. Fuori il porto. Questa è la vita dell’ascensor della Bica, che si ripete ogni giorno.

Abbiamo attraversato Porto e Lisbona, ma anche piccole realtà, sulla costa, all’interno, paesini minuscoli e località di mare. Monasteri, castelli, mondi di fiabe. Eppure i volti della gente sono gli stessi. E’ gente che porta i segni della fatica. Un po’ meno a Lisbona, tanto invece a Porto. Tutto è fermo ad almeno trent’anni fa, lo vedi dagli abiti delle persone e dai banconi dei bar. Dalla voglia di mantenere intatte persino le scatole dei prodotti alimentari, che così sembrano uscite da vecchie pubblicità. Il caffè costa ancora 55 centesimi. E i modi sono quelli di una volta, con il proprietario del bar che ti sistema il tavolo per vedere meglio il mercato, o che ti offre da bere per brindare alle tue ferie, come ci è successo a Nazaré, o che ti prepara il Porto Tonic al tavolo e ti chiede se va bene.

C’è sempre gente in giro. I più giovani animano il Bairro Alto, ma tutto intorno è un continuo passaggio di persone, da un locale all’altro, ma anche solo in strada, l’aria fresca, il pavimento bianco luccicante.

Non riesci a sentirti estraneo. Forse anche per la dimensione casalinga che l’Ostello dei Poeti ha dato a questa vacanza. La cucina in comune, un enorme salone con pouf colorati e cuscini sui tappeti. Il parquet in legno chiaro e le stanze da condividere con altri viaggiatori. Abbiamo incontrato tanti ragazzi che viaggiano da soli. Alcuni lontani dall’apprezzare l’essere in continuo movimento, altri meticolosi nella missione per conoscere più persone possibili. Ma comunque soli, zaino in spalla.

Scrivo a gambe incrociate su un pouf nero. Accanto a me Betty (pouf arancione) aggiorna le fotografie. Ho alle spalle un ragazzo indiano e una coppia di spagnoli, parlano in inglese, argomento Lisbona e altri viaggi. Girano per il salone altre ragazze, ci sono russi, francesi. Qui tra di noi, per fortuna, nessun italiano. Fuori, per strada, ne abbiamo incontrati troppi. La luce è soffusa, un’amaca è appesa all’angolo con la finestra. Se ti affacci vedi i tetti, e sotto, le tende gialle dei bar, l’uscita della metropolitana Chiado/Baixa, il pavimento di quadratini lucidi e scivolosi, la fermata del tram numero 28. La sera c’è sempre qualcuno che suona, per tirare su qualche soldo. Ecco, in tanti qui sembrano arrangiarsi. Poche ore fa, ad un incrocio un ragazzo si è messo a dirigere il traffico con un giornale, e a dirottare le auto verso i parcheggi liberi. E con qualche mancia di chi ha trovato più facilmente il parcheggio se ne è andato più sereno. La gente si arrangia, con i turisti, con gli avanzi dei mille ristoranti. Però sorride.

Terminado

l3Parola del giorno: terminado, finito.

Venerdì abbiamo aspettato il tram numero 28. E’ ancora in legno, giallo fuori, sale per stradine strette per poi buttarsi giù in discesa. Nel prenderlo bisogna fare attenzione alla fermata di arrivo (scritta come da ogni parte accanto al numero), ma ovviamente io e Betty non ci abbiamo nemmeno pensato. Così per due volte, prima di capirlo, ci siamo trovate a dover scendere, per poi magari risalire un metro più avanti. “Terminado”, è quello che diceva l’autista. Ci siamo ritrovate quasi per caso all’Alfama. La cattedrale, il castello, ma soprattutto un labirinto di stradine. Le facciate bianche, spesso rosa confetto, e poi le porte colorate, i fiori ai balconi, e ancora i segni della festa di Sant’Antonio, patrono del quartiere che molti vorrebbero dell’intera città, spodestando così San Vincenzo. Giornata di lunghe camminate quella di venerdì.

alfamaL’altro labirinto di Lisbona è il Bairro Alto. Le strade si incrociano, in rigorose salite, ogni porta nasconde un bar o un ristorante, negozi curiosi, dal vintage ai marchi più noti, tutto sembra destinato a cambiare da un momento all’altro. Non ci sono antiche botteghe come in altri quartieri. I muri sono ricoperti da scritte, manifesti, pubblicità. Tutto scorre veloce, come l’acqua insaponata con cui i camerieri lavano la strada davanti al proprio locale.

In equilibrio sul puré di piselli

pureSintra a 28 chilometri da Lisbona viene descritta come una cittadina incantata. E anche in questo caso bisogna dare ragione alla Routard. I palazzi hanno le facciate color confetto, le strade si arrampicano su per la collina, fino alla Quinta de Regaleria. Un castello con un enorme giardino. Una volta pagato il biglietto di ingresso si può girare per ogni angolo, perdersi nei viali, tra le statue e gli alberi. Come in un castello fatato ci sono sottopassaggi nascosti, grotte lasciate al buio ma aperte dove ogni passo costa la paura di cadere nel vuoto. E poi il Pozzo degli iniziati, profondo 27 metri. La reggia è piena di simboli massonici, da invisibili croci a mosaico ai disegni dei giardini. Da una delle grotte si spunta su uno stagno, una distesa verde e immobile, purè di piselli. Come in una gara tra cavalieri, la prova consiste nell’attraversarlo, appoggiando i piedi su pietre piatte, senza cadere nell’acqua.

Amarelo

Parola del giorno: amarelo, giallo.

ikeaQuello del sacchetto IKEA. Io e Betty stavamo andando a Sintra, quando poco fuori Lisbona ci è apparsa la scritta gialla e blu. Così al ritorno non abbiamo resistitio alla tentazione e ora siamo in possesso del nuovo catalogo 2010… in portoghese!

Mada complicada

fatima3Mercoledì, giorno di spostamenti.

Parola del giorno: mada complicada, molto complicato.

Complicato trovare il giusto percorso da seguire per evitare l’autostrada e concederci un viaggio più lento ma con persone e luoghi da vedere. Ci siamo fermate a Fatima. Complicato. Da un lato la fede. Dall’altro il resto del mondo, nel suo muoversi continuo attorno al dio Denaro. Ci sono persone che attraversano la lunga piazza verso il santuario in ginocchio. Ci sono i negozietti, tutti numerati, che sotto i portici vendono santini e rosari, dal legno alla plastica colorata, con il volto della Madonna o quello di Hello Kitty. Ci sono i ceri. Non solo candele, piccole o altissime. Ci sono i ceri a forma di testa, braccio, gamba. Piccoli ceri con il volto e il corpo di bambini, poi organi, cuore, polmoni, un seno. Per aver ricevuto la grazia, per chiederla, o per rispettare un voto, i malati e i malati guariti comprano un cero che ricorda la loro malattina e lo buttano in un grosso forno, dove la cera cola lenta, tutta insieme, senza distinzione di corpi e persone. Complicato.

E poi complicato non perdere la strada. Invece di seguire la direzione “centro” per entrare a Lisbona, abbianmoimboccato – su m io suggerimento – il ponte Vasco De Gama, sedici chilometri sospesi sopra il fiume Tejo. Così, perché le cose facili non ci piacciono.

Coimbra, Republicas

coimbraCoimbra città universitaria. Fatta di piccole stradine e di enormi palazzi. Il bianco prevale. Niente di più. Per trovare dettagli bisogna entrare nel dedalo del centro storico, infila travessa da Matematica. Qui si trovano una dietro l’altra le republicas. Sono case di studenti che vivono in spazi comuni, piuttosto schierati politicamente, decorano le finestre e i balconi con manichini impiccati che indossano il tradizionale mantello nero degli universitari, e poi scarponi, tastiere del computer e oggetti vari. Siamo entrate a curiosare dentro la facoltà di Psicologia. Dentro ampi cortili decorati con azulejos, tavolini per studiare sia al centro del cortile sia lungo il colonnato.

Experimentar, tra la prostituzione immobiliare e l’oceano infinito

nazare-quartosPer motivi tecnici (vedi nota sotto sulla ridente stanzetta che abbiamo trovato a Nazaré) gli aggiornamenti hanno subito un giorno di ritardo…

 

Parola del giorno di martedì: experimentar. Il nostro frasario lo usa per chiedere di provare i vestiti nei negozi. E così abbiamo fatto in un negozietto di bijoux fatti a mano. Ma il nostro experimentar si è esteso a più situazioni… dal trovare la strada giusta (ogni tanto i o i cartelli spariscono) al provare e riuscire a dormire in discesa.

 

Siamo arrivate a Nazarè, sulla costa, proprio sdraiata sull’Oceano, dopo essere partire da Porto, aver visitato Coimbra e attraversato numerosi paesini. Saltata al volo Figueira da Foz, terribile località balneare, ci siamo spinte in questo paesino tutto bianco. In cima alla collina ha un aspetto spaventoso. Difficile riuscire a capire subito perché la Routard ne parla così bene. Si allungano fino alla costa decine di stradine, alcune strettissime. Sembra che tutto si sia fermato a trent’anni fa. Le donne indossano un abito tradizionale, con una gonna incredibilmente corta. Molte stanno sedute ai bordi delle strade, su sgabelli di plastica, sotto ombrelloni di tela. Fermano la gente, possibili clienti. Prostituzione immobiliare. Affittano camere, alunga-se quartos, dicono i cartelli scritti a pennarello. In continuazione, su ogni porta, in ogni strada. Ancora, a guardarsi intorno, non si capisce l’entusiasmo della Routard. Però io e Betty ormai sappiamo di poterci fidare, così cerchiamo che l’Restaurante Hospedaria Ideal, per dormire. Parliamo in francese, come decide la padrona di casa. Ci porta al piano di sopra, sotto si cucina, il ristorante è impregnato di pesce. Apre la porta… “La prendiamo”. Non ci abbiamo nemmeno pensato. Però merita una descrizione. Tre metri per tre, in cui stavano un letto a una piazza e mezza, uno singolo, rispettivamente il primo con la testa in discesa il secondo in salita. Poi un armadio, un lavandino e… un bidé nascosto dal letto. Geniale.nazare-camera

E qui ancora la Routard ci è sembrata incomprensibile. Poi però, fatta una doccia, cacciata via la stanchezza del viaggio, ci siamo incamminate per le stradine del paese. Fino all’ascensore che porta alla parte vecchia del borgo. Una vista infinita sull’oceano, sulla spiaggia lunga lunga, con una tendopoli di bagnanti, meno invasiva delle nostre cabine di legno. Siamo arrivate al faro, siamo scese fino alla sua base. E poi abbiamo continuato a experimentar. Cercando un posto dove cenare, a quel punto in pace con la Routard, siamo entrate senza pensare da Santo. Solo che appena aperto il menu abbiamo capito di non essere in grado di mangiare niente; frutti di mare e molluschi. Non sapevamo nemmeno di dover usare lo stuzzicadenti come facevano i nostri vicini di tavolo. Così invece di optare per una fuga improvvisa, abbiamo ordinato un bicchiere di Porto. Un aperitivo insomma poteva anche starci. Poi il padrone ci ha fermate, ci ha detto di brindare alle nostre ferie e ci ha offerto un secondo bicchiere di Porto. Evvai. Gentile e sorridente. Felice. Ecco, ieri abbiamo experimentato la gentilezza della gente. Che è vero, sembra malinconica. Ma molti – lo si vede – sono in difficoltà con la vita. Però se possono ti offrono anche solo un momento di allegria. Come i camerieri della Tasquinha, che si sono sforzati di parlarci in italiano e ci hanno offerto il Porto, white nell’attesa del tavolo, Ruby per digerire. E ancora di più il padrone del Cafè do mercado. Ci ha portato l’agua cristallina, ci ha servite con rispetto, facendoci girare le sedie per godere dello spettacolo del mercato.

nazare-donnaEcco, il mercato di Nazarè. Siamo rimaste a vagare tra i banchi e sedute a osservare per molto tempo. Le donne in abito tradizionale, vecchi e meno giovani, il pesce fresco, le montagne di verdura. Luminoso.

Sandeman non è zorro

cantineCe lo dice la guida delle cantine Sandeman. Il logo è un uomo avvolto in un mantello, con un cappello, tutto nero. Ci spiega che porta un cappello andaluso,  rappresenta la Spagna da cui viene lo sherry con cui miscelano il Porto, e la cappa nera rappresenta il Portogallo, è il capa e batina degli studenti universitari di Coimbra, un mantello nero che indossano per le cerimonie. Zorro quindi non c’entra proprio. White, Ruby o Tawny, le botti di Porto hanno l’odore del legno, l’aria umida e fresca, dolce. La guida è vestita come il simbolo della sua azienda, la solita trovata per i turisti. Però non fastidiosa, devo ammetterlo. Tanto che la visita a Sandeman risulta migliore di quella alle cantine Calem. La guida, Paulo, parla in portenglish, veloce veloce, va presto al dunque, alla degustazione. A Vila Nova de Gaia, proprio di fronte al quartiere Ribeira, la giornata è scandita dalle visite alle cantine, in più lingue. Noi ci siamo fermate a due, solo perché abbiamo iniziato tardi nel pomeriggio… Con il sapore del Porto e il suo profumo ancora nell’aria il tramonto ha preso ancora più colore.

Dos

porto3Sono le 15, ora portoghese. Siamo sedute su grossi cuscini arancioni, nel giardino dell’Ostello dei Poeti. Un albero di cachi fa ombra all’amaca, dove ieri sono già riuscita a dormire senza cadere. Io e Betty ci prendiamo un’oretta di pausa, poi ci avventuriamo nel giro delle cantine di Porto, con degustazione gratuita.

Abbiamo la pancia piena, per il pranzo ci siamo lanciate nella francesinha. Proprio quella in cui ieri un ragazzo pucciava le patatine fritte nell’uovo. Non potevamo non provare. Difficile da digerire: pane, formaggio, prosciutto, una bistecca a fare da base, wurstel. Sopra l’uovo fritto, il tutto innaffiato da una salsa salatissima e circondato di patatine fritte. Scrivo prima di rimettermi in moto.

lelloStamattina siamo andate a nord di Campos dos Martires, cercavamo rua Carmelitas, con la libreria di Lello y Irmao. Tutta in legno, uno scalone centrale con i gradini rossi che si attorciglia su se stesso. Il soffitto decorato con rosoni in legno e quello del tetto con una vetrata. Poltroncine blu, libri antichi e moderni. Bellissimo.

Devo ammettere che la mattina era iniziata con la sveglia sbagliata (l’ho messa alle 8, ma era l’ora italiana), ho scambiato il frutto della passione per delle melanzane, e ancora prima avevo pensato fossero prugne… dimenticando che le prugne sono frutti di un albero e non di una pianta rampicante. Ma la libreria di Lello (un suo erede era in camicia a righe azzurra dietro alla cassa) ci ha fatto iniziare bene la giornata. E poi, la magia dei posti si vede anche dalle coincidenze. Quando da lontano arriva un pensiero proprio tra quelle pareti intarsiate di storia.

lucidascarpeTanti dettagli. Il più incredibile oggi in avenuda dos Aliados. Ci sono i lustrascarpe. E’ il quartiere dei banchieri.

Ps 1: Effettivamente i prezzi in Portogallo sono bassi, come si legge nelle guide. Ieri sera cena con due tipi diversi di bacalhau entrambi con contorno (tra l’altro porzioni enormi, ci siamo dimenticate di chiederne metà) con una bottiglia di vino bianco, abbiamo speso 27 euro in totale, quindi 13,50 a testa. Nel pomeriggio ci siamo sedute a un tavolino della Riberia, due coke 3 euro. Stamattina dos cafè al bar, 1,50. Poi ci sono dolci enormi nelle vetrine delle confeterie a 1 euro, panini a meno di 2 euro.

Ps 2: Premessa alla parola del giorno. Ero indecisa tra: tchao (arrivederci, si pronuncia tao) e bom dia, che oggi abbiamo iniziato a usare.

Ma poi ho fatto un’altra scelta.

Parola del giorno: dos, due. Che si pronuncia duish. Non molto intuitivo.

Mada complicada

spinaPer aggiornare il blog serve il computer. Se si vogliono mettere foto aggiornate, magari appena scattate, serve tempo, per scaricarle dal pc, rimpicciolirle, sistemarle. Ecco. Le batterie quindi si scaricano. E si potrebbe attaccare il computer alla spina… ma la nostra ha tre buchi e qui ne hanno due… We need an adaptor… Lo chiediamo in giro, tra negozi di elettrodomestici e simil-Media World, persino alla Fnac, dove ci guardano come a dire “Ah, gli italiani…”.E in questo caso un po’ avrebbero anche ragione. Ma io e Betty non ci siamo perse d’animo. La “missione Adaptor” ci ha portate a scoprire stradine nascoste, chiese altissime con gli splendidi azulejos a decorare le facciate. Proprio in una di queste stradine, rua Cimo de Vila, siamo entrate in un negozio di “cose elettriche”. Abbiamo chiesto al negoziante, un uomo con i baffi lunghi e grigi, una polo viola. “No, non ne abbiamo”, ci ha detto subito. “Però..:”. Ci mostra una presa a tre buchi e un cavo… “Potrei farvela”. Gli abbiamo sorriso e tra un nostro “obrigada” e un suo “mada complicada”, siamo uscite con una prolunga perfetta per i nostri computer, per soli tre euro e 20. Era un vero elettricista insomma, in un qualsiasi altro negozio italiano penso ci avrebbero gentilmente mandate a quel paese.

Obrigada

porto

Viaggio in Portogallo. Io e Betty, fuori da tutto, dentro a tutto.

Sembra una giornata dagli inizi infiniti. Quattro colazioni: la prima alle 3.30 a casa, baiocchi e caffè, la seconda in aeroporto a Milano (caffè e brioche), la terza in aereo (gentilmente offerta dalla Tap, ma solo caffè… panino e yogurt li abbiamo tenuti per il pranzo) e ancora in aeroporto a Porto, caffè e brioche.

Abbiamo assistito a un matrimonio, anche qui gli invitati suonano il clacson quando sfilano in auto, abbiamo visto in diretta un pestaggio, un passaggio di droga davanti alla casa che si regge solo con la protezione di Sant’Antonio (splendidamente disegnato in azzurro su una piccola porzione di azulejos). E persino un tipo che pucciava le patatine nel rosso dell’uovo (ma preparato apposta, non per pazzia). E attraversando una scaletta, abbiamo visto una donna (la finestra della sua cucina dava proprio sulla strada) che teneva per una zampa un gatto nero. Morto. E con il coltello iniziava a “pulirlo”.

Ora che qui sono quasi le tre e mezza del pomeriggio, ci siamo concesse una pausa. Io e Betty ci siamo imbattute nel Poets Hostel, segnalato dalla Routard. Un ostello con stanze rifinite in arancione, le finestre che si affacciano sui tetti. La nostra camera, che dividiamo con altre sei persone, si chiama Rimbaud. C’è la connessione wire less, così come possiamo provare ad aggiornare i nostri blog.

porto2Porto è strana. Sembra in equilibrio precario. Le case si appoggiano una sull’altra, sono storte. Molte sono abbandonate, i vetri rotti e le porte sbarrate. Non ci sono campanelli nei portoni, solo il numero dei piani. Così anche nelle cassette delle lettere. Ci sono strappi di mattonelle tra i colori vivaci dell’intonaco. Mi fa notare Betty che al colore delle pareti corrispondono curiosamente quelli dei panni stesi.

Oggi è domenica, i negozi sono chiusi, non c’è molta gente in giro. Ma il volto della città cambia scendendo verso il fiume Dourho. Nel quartiere Ribeira i tavolini si tuffano lungo la sponda di questo fiume largo e lento. In mezzo barche dai timoni giganteschi. E dall’altra parte le cantine di Porto. I turisti qui si muovono a gruppi. Ma poco più su, tornando con lo sguardo a quelle lunghe salite che portano alla città alta, si ripresenta il deserto, mai silenzioso, mai immobile. Assolato. Ci sono balconi senza la casa dietro, orsacchiotti di peluche stesi ad asciugare al sole. Facce stanche, scure, volti arabi, quelli che ricordano l’era “before Afonso” che rese indipendente Porto.

La prima canzone che abbiamo sentito appena messo piede in Portogallo era degli Ultravox… curioso.

Stamattina ci siamo imbattute in un mercato degli animali… centinaia di uccellini, canarini, bengalini, pappagalli, tutti chiusi in piccole gabbie. Ci siamo fermate su un cartellino: mille euro per un bellissimo pappagallino rosso. Però mille euro…

Per ora incomprensibile il portoghese…

Parola del giorno: obrigada, grazie.


I BRUSCHI DETTAGLI

Raccontare, vedere poi ascoltare e scrivere. Leggere, chiedere, curiosare. E una pagina bianca per dirlo a qualcuno. Non il Tutto, solo qualche dettaglio

SUL COMODINO

Paul Auster, un po' di Pamuk, Erri De Luca

ULTIME LETTURE

Un uso qualunque di te (Sara Rattaro)

Twitter factor (Augusto Valeriani)

La vita è altrove (Milan Kundera)

1Q84 (Haruki Murakami)

Zita (Enrico Deaglio)

L'animale morente (Philip Roth)

Così è la vita (Concita de Gregorio)

I pesci non chiudono gli occhi (Erri De Luca)

Cattedrale (Raymond Carver)

Lamento di Portonoy (Philip Roth)

Libertà (Jonathan Franzen)

Il dio del massacro (Yasmina Reza)

L'uomo che cade (Don De Lillo)

Il condominio (James G. Ballard)

Sunset limited (Cormac McCarthy)

I racconti della maturità (Anton Cechov)

Basket & Zen (Phil Jackson)

Il professore di desiderio (Philip Roth)

Uomo nel buio (Paul Auster)

Indignazione (Philip Roth)

Inganno (Philip Roth)

Il buio fuori (Cormac McCarthy)

Alveare (Giuseppe Catozzella)

Il Giusto (Helene Uri)

Raccontami una storia speciale (Chitra Banerjee Divakaruni)

Cielo di sabbia (Joe R. Lansdale)

La stella di Ratner (Don DeLillo)

3096 giorni (Natascha Kampusch)

Giuliano Ravizza, dentro una vita (Roberto Alessi)

Boy (Takeshi Kitano)

La nuova vita (Orhan Pamuk)

L'arte di ascoltare i battiti del cuore (Jan-Philipp Sendker)

Il teatro di Sabbath (Philip Roth)

Sulla sedia sbagliata (Sara Rattaro)

Istanbul (Orhan Pamuk)

Fra-Intendimenti (Kaha Mohamed Aden)

Indignatevi! (Stéphane Hessel)

Il malinteso (Irène Némirovsky)

Nomi, cognomi e infami (Giulio Cavalli)

Tangenziali (Gianni Biondillo e Michele Monina)

L’Italia in seconda classe (Paolo Rumiz)

ULTIME VISIONI

Be kind rewind (Michel Gondry, 2007)

Kids return (Takeshi Kitano, 1996)

Home (Ursula Meier, 2009)

Yesterday once more (Johnnie To, 2007)

Stil life (Jia Zhang-Ke, 2006)

Cocaina (Roberto Burchielli e Mauro Parissone, 2007)

Alla luce del sole (Roberto Faenza, 2005)

Come Dio comanda (Gabriele Salvatores, 2008)

Genova, un luogo per dimenticare (Michael Winterbottom, 2010)

Miral (ulian Schnabel, 2010)

Silvio forever (Roberto Faenza, 2011)

Election (Johnnie To, 2005)

Oasis (Lee Chang-dong, 2002)

Addio mia concubina(Chen Kaige, 1993)

La nostra vita (Daniele Luchetti, 2010)

Departures (Yojiro Takita, 2008)

La pecora nera (Ascanio Celestini, 2010)

Flags of our fathers (Clint Eastwood, 2006)

L'uomo che fissa le capre (Grant Heslov, 2009)

Buongiorno Notte (Marco Bellocchio, 2003)

Vallanzasca - Gli angeli del male (Michele Placido, 2010)

Paz! (Renato De Maria, 2001)

Stato di paura (Roberto Burchielli, 2007)

Gorbaciof (Stefano Incerti, 2010)

L'esplosivo piano di Bazil (Jean-Pierre Jeunet, 2008)

Confessions (Tetsuya Nakashima, 2010)

127 ore (Danny Boyle, 2010)

Qualunquemente (Giulio Manfredonia, 2011)

American life (Sam Mendes, 2009)

Look both ways (Sarah Watt, 2005)
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