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York, lontana almeno un po’

Ci sono momenti in cui bisogna avere la fortuna di poter partire, di poter essere distante, consapevoli che non basta, ma sicuri che sia già qualcosa. Sull’aereo per Leeds (punto di partenza per York, Uk) un signore mi chiede dove sto andando. Mi dice che a York ci lavora, ci pensa un po’ e aggiunge che assomiglia ad Alghero, dove è appena stato con la moglie. Me lo dice per aiutarmi a immaginarla. Io ad Alghero non sono mai stata, ma ringrazio per il suggerimento. Ha quasi 200mila abitanti York, le strade pienissime venerdì e sabato, poi più lente. Le case curve per il loro stesso peso, le travi in legno. Il fiume con il battello e la passeggiata e i tavolini. Le papere. Ci potrei vivere in un posto così.  Betty e suo fratello Roby, a York per lavoro, mi hanno fatto vivere la città, più a fondo dei giri da turista. Cena al pub, tra fish and chips e jacked potatoes, il cinema (Harry Potter, in 3D). La birra e la colazione all’inglese, usata al posto del pranzo. Il concerto di Blondie per la serata inaugurale delle corse dei cavalli. Per la gente del posto è l’evento dell’anno. Tutti elegantissimi, abiti stravaganti, cappellini in stile regina, i tacchi alti sul prato tagliato alla perfezione. L’ultima sera abbiamo cenato tutti a casa di Mandy, che con la sua famiglia ospitava Betty e Roby. Così se puoi vedere le case della gente, il giardino, la partita di cricket qualche prato più in là, se puoi vedere come si mangia, come si apparecchia la tavola, come sono arredate le stanze, sei già andato oltre la vacanza. Mandy da 15 anni lavora in un supermercato nel turno di notte, dalle 22 alle 6 del mattino. Questo colpisce. Così come vedere un ragazzo che per ore e ore sta in piedi in mezzo alla strada reggendo un cartello che indica un locale.

Sono convinta che tra indifferenza e rispetto per le idee degli altri ci sia qualcosa che spinge a non guardarsi troppo attorno. Qui non importa a nessuno se è fine luglio e vai in giro con gli stivali da neve. Sono seduta a un tavolino, mangio un tramezzino e scrivo su un quaderno. Un signore mi chiede se si può sedere con me, non ci sono altri tavoli liberi all’aperto. Gli dico di sì. Avrà una settantina d’anni, un cappello imbottito con la spilla del Chelsea. Ha preso uno di quei bicchieroni di caffè chesolo in Italia non vendono. Poi tira fuori da un suo sacchetto di plastica di un supermercato un saccottino salato e consuma così il suo pranzo. Mi racconta che è vedovo, che qui la vita è cara, che adora la cucina italiana ma non è mai stato in Italia, solo in Spagna, quando sua moglie era viva. Parliamo un po’, io zoppico nel mio inglese ma rispetto al primo giorno in cui probabilmente non avrei capito nemmeno se mi avessero chiesto “come ti chiami” ora riesco a formulare delle frasi.

Mi ha accompagnato Philip Roth in questi giorni, parole lette una dietro l’altra, forse non quelle giuste, forse avrei dovuto scegliere altri libri. Ma “questa era comunemente ritenuta una funzione della grande letteratura: fare da antidoto alla sofferenza attraverso la descrizione del nostro comune destino”. (La lezione di anatomia, P. Roth).

Ognuno è artefice del suo destino

Pag 262 – Tropico del Cancro. Una nota segnata al volo sul cellulare. Riprendo la pagina.

“Se a volte incontriamo pagine esplosive, pagine che feriscono e bruciano, che strappano gemiti e lacrime e bestemmie, sappiate che son pagine di un uomo alle corde, un uomo a cui non resta altra difesa che le parole e le parole sono sempre più forti della menzogna, peso schiacciante del mondo, più forte di tutte le ruote e i cavalletti che i vili inventano per infrangere il miracolo della personalità. Se un uomo mai osasse tradurre tutto quel che ha nel cuore, mettere giù quella che è la sua vera esperienza, quel che è veramente verità, io credo allora che il mondo andrebbe infranto, che si sfascerebbe in frantumi, e né dio, né accidente, né volontà potrebbe mai radunare i pezzi, gli atomi, gli elementi indistruttibili che componevano il mondo”.

(Henry Miller, Tropico del Cancro)

Ho segnato questo paragrafo mentre prendevo il sole e leggevo. Un lettino in mezzo a tanti, in un fine maggio dal sapore già estivo, ma ancora lento nei ritmi. In un angolo di Liguria, a due facce, equamente distribuite tra i giorni della settimana. Tropico del Cancro è Parigi. Anche. Leggevo. E vedevo. Famiglie, persone, coppie, bambini, uomini soli, donne sole. Qualche stereotipo. Volti che se osassero tradurre tutto quello che hanno nel cuore sfascerebbero il mondo.

Immagini. 

Mamma, papà, due figlie. Genitori piuttosto giovani, meno di quaranta. Lui ascolta la radio, con le cuffie. Lei fa ripassare i verbi alla più grande per la verifica di italiano. Non ne ha voglia: né la bambina di ripetere indicativi e congiuntivi alle tre di un pomeriggio di vacanza, né la madre. “Io le ho già studiate ‘ste cose, lei fa così sempre, non ha voglia di prendere i libri in mano, ma io ho altre cose da fare, cose più importanti”. Parla di sua figlia con il marito (che non dice una parola, ma ha tolto le cuffie) mentre questa ragazzina è lì a pochi centimetri, parlano di lei come se non esistesse. La madre-moglie sottolinea – senza mai dirlo direttamente – che lui non può sapere come si comporta la figlia durante tutta la settimana, la vede solo in questi due giorni. Non dice niente questo padre a sua figlia, non dice niente questo marito alla moglie. Entrambi poi si dedicano alla piccolina. La grande resta a guardare nel vuoto, un libro con parole evidenziate inverde sulle gambe.

C’è una coppia, lei superpalestrata, la pancia piatta piatta, le gambe muscolose. Tutta “amore-tesoro”, non toglie la medaglietta Tiffany neanche sotto il sole delle tredici, e mentre la osservo penso “oddio adesso si brucia la pelle e le resta una sagoma tonda tra le costole”. Parlano parlano parlano. Il niente. 

Nonni paterni, con figlio e nipotina. A mezzogiorno o poco più ci si veste per andare a casa a mangiare, i nonni fremono. Se la bambina sta troppo in acqua, se sta troppo al sole, se non si vuole vestire, se vuole il gelato. Ma il papà-tornato-figlio non dice una parola, non un “lasciateci in pace”. Il secondo niente.

Cade una maglietta, era appoggiata alla sdraio. Lui: “Se è caduta vuol dire che l’avevi messa male”. Lei (mentre cambia una bimba ancora con il pannolone): “Dai non si è sporcata”. Lui: “Ma cosa importa, è caduta, devi fare attenzione cazzo”. Lui urla, lei lascia che lui urli. Si può ancora scappare?

Ma tra coppie di fighetti che sembrano spezzarsi sotto il peso delle parole che dicono e non dicono, ci sono anche spiragli di normalità. Una famiglia un po’ panciuta gioca sotto l’ombrellone. Sembrano aver deciso per la spiaggia all’ultimo momento, in jeans, nessuna traccia del costume. Ma chissenefrega basta avere due formine per far costruire mondi di pietre ai due bambini. “Ognuno è artefice del suo destino”. Un tatuaggio su un braccio abbronzato. Ha voglia di scappare questo ragazzo muscoloso, i capelli lunghi, la pelle abbronzata. Vorrebbe fare il pescatore in Polinesia. Non perché la conosce, non perché l’ha vista. E’ un’idea, un’immagine, la più lontana possibile. “Cosa ti trattiene? Non lo capisco”. Glielo chiede un milanese sulla cinquantina. Ha lasciato la moglie e casa e sta un paio di giorni al mare. “Da solo, ogni tanto ci vuole”. Non sa cosa lo trattiene. Il Pescatore ha gli anni – pochi – per poter decidere di andare, non è sposato-fidanzato-legato. Non ha un lavoro con obblighi superiori. “Penso sia per gli affetti”. I fratelli, i nipotini che lo chiamano zio. Ma a guardare il mare e sognare che male c’è?

“Ma tu sei contenta della vita?”. Una domanda importante. Esce dalla bocca di un signore di 75 anni, tiene per mano la moglie, forse un poco più giovane. Lo vuole capire, spiega, perché un po’ si rimpiange gli anni della giovinezza. E allora vuole sapere se si riesce ad essere felici così con quello che viene, o se ci  si deve dare un po’ da fare… “Bisogna fare le scelte giuste”. Una risposta importante.

Avvolta in un accappatoio giallo

Leggere, chiudere gli occhi, pensare. Poi dormire, guardare la pioggia che cade senza sosta sull’acqua della piscina. Alzarsi, entrare in silenzio nella vasca a 36 gradi, sentire l’acqua che quasi ti schiaccia lo stomaco e ti pesa sulla pelle prima di riuscire ad abituarsi a quella temperatura. Mettere la testa fuori dall’acqua, dove i 13 gradi esterni incontrano i 36 interni e sentire la pioggia che colpisce le guance, il naso, le labbra, mentre il vapore ti tiene al riparo dal resto del mondo. Avvolta in un accappatoio giallo, troppo grande, ma capace di avvolgerti come una coperta.
Le terme. (Montegrotto – Padova, hotel Antoniano). Un fine settimana in cui non si deve fare nulla, gli altri si prendono cura di te. Si preoccupano se non mangi il secondo (il cameriere Maurizio era molto attento a non deludere i clienti), ti chiedono quale dolce hai scelto per la cena, ti servono il vino e ti coccolano dall’antipasto al caffè. Tre giorni senza “tutto il resto”, senza il telefono come ossessione, senza computer, impegni, scadenze. Tre giorni insieme ad un’amica con cui condividere la sensazione di poter stare così, sospese in un dolce far niente temporaneo, attente e consapevoli che la parola giusta sia “temporaneo”. Tre giorni a ridere di scemate, a indovinare le canzoni anni Sessanta del piano bar, tre giorni in silenzio compagne di lettino, con i nostri libri e i nostri pensieri. Non con tutti si può stare così.

Quelli che… Catanzaro città

Quelli che suonano il clacson agli incroci, per “avvertire” che stanno passando.
Quelli che vanno in motorino senza casco… e quelli che su una vespa salgono in quattro: mamma, papà e i due bambini.
Quelli che in macchina tengono una finta cintura di sicurezza: la inseriscono e così il segnale acustico (che avverte “il passeggero non si è allacciato la cintura”) tace, e chi siede accanto al guidatore può assecondare il suo desiderio.
Quelli che attraversano senza nemmeno guardare e solo per salutare un amico dall’altra parte del marciapiede… e in effetti le strisce pedonali ci sono, ma i semafori no.
Quelli che al mercatino dell’usato vendono i vestiti di H&M e Zara, perché lì le due catene internazionali non ci sono e sono diventate griffe come Dolce e Gabbana e Valentino.
Quelli che una brioches (buonissima, soffice e grande) e una granita di mandorle paghi solo 2 euro e 90. E il caffè costa ancora 50 centesimi, in pieno centro.
Quelli che anni fa hanno buttato giù alcuni palazzi del centro storico per costruire palazzi di vetro. E ora la cupola del Duomo si specchia sul lato opposto della strada.
Quelli che hanno un centro storico nascosto, piccoli paesini dentro una grande città, ma pochi ne conoscono i segreti.
Quelli che dicono “qui regna l’anarchia”. Fatta non tanto di indifferenza, quanto di rassegnazione.
Quelli che sui giornali mettono i nomi dei morti in un incidente stradale sbagliati.
Quelli che hanno scelto di restare e amano la loro città tanto quanto la detestano.
Quelli che da anni frequentano lo stesso locale, “perché qui quando trovi qualcuno che sa fare il suo mestiere ci torni e te lo tieni stretto. Vale anche per idraulici e dentisti, perché in generale manca la professionalità” – così mi spiegano.
Quelli che come me osservano Catanzaro per pochi giorni, che ritrovano le strade e i ricordi di vacanze estive lontane. Che vedono il caos della città, ma anche un modo di vivere più distaccato, che porta a non chiedersi perché e a suonare il clacson.


I BRUSCHI DETTAGLI

Raccontare, vedere poi ascoltare e scrivere. Leggere, chiedere, curiosare. E una pagina bianca per dirlo a qualcuno. Non il Tutto, solo qualche dettaglio

SUL COMODINO

Paul Auster, un po' di Pamuk, Erri De Luca

ULTIME LETTURE

Un uso qualunque di te (Sara Rattaro)

Twitter factor (Augusto Valeriani)

La vita è altrove (Milan Kundera)

1Q84 (Haruki Murakami)

Zita (Enrico Deaglio)

L'animale morente (Philip Roth)

Così è la vita (Concita de Gregorio)

I pesci non chiudono gli occhi (Erri De Luca)

Cattedrale (Raymond Carver)

Lamento di Portonoy (Philip Roth)

Libertà (Jonathan Franzen)

Il dio del massacro (Yasmina Reza)

L'uomo che cade (Don De Lillo)

Il condominio (James G. Ballard)

Sunset limited (Cormac McCarthy)

I racconti della maturità (Anton Cechov)

Basket & Zen (Phil Jackson)

Il professore di desiderio (Philip Roth)

Uomo nel buio (Paul Auster)

Indignazione (Philip Roth)

Inganno (Philip Roth)

Il buio fuori (Cormac McCarthy)

Alveare (Giuseppe Catozzella)

Il Giusto (Helene Uri)

Raccontami una storia speciale (Chitra Banerjee Divakaruni)

Cielo di sabbia (Joe R. Lansdale)

La stella di Ratner (Don DeLillo)

3096 giorni (Natascha Kampusch)

Giuliano Ravizza, dentro una vita (Roberto Alessi)

Boy (Takeshi Kitano)

La nuova vita (Orhan Pamuk)

L'arte di ascoltare i battiti del cuore (Jan-Philipp Sendker)

Il teatro di Sabbath (Philip Roth)

Sulla sedia sbagliata (Sara Rattaro)

Istanbul (Orhan Pamuk)

Fra-Intendimenti (Kaha Mohamed Aden)

Indignatevi! (Stéphane Hessel)

Il malinteso (Irène Némirovsky)

Nomi, cognomi e infami (Giulio Cavalli)

Tangenziali (Gianni Biondillo e Michele Monina)

L’Italia in seconda classe (Paolo Rumiz)

ULTIME VISIONI

Be kind rewind (Michel Gondry, 2007)

Kids return (Takeshi Kitano, 1996)

Home (Ursula Meier, 2009)

Yesterday once more (Johnnie To, 2007)

Stil life (Jia Zhang-Ke, 2006)

Cocaina (Roberto Burchielli e Mauro Parissone, 2007)

Alla luce del sole (Roberto Faenza, 2005)

Come Dio comanda (Gabriele Salvatores, 2008)

Genova, un luogo per dimenticare (Michael Winterbottom, 2010)

Miral (ulian Schnabel, 2010)

Silvio forever (Roberto Faenza, 2011)

Election (Johnnie To, 2005)

Oasis (Lee Chang-dong, 2002)

Addio mia concubina(Chen Kaige, 1993)

La nostra vita (Daniele Luchetti, 2010)

Departures (Yojiro Takita, 2008)

La pecora nera (Ascanio Celestini, 2010)

Flags of our fathers (Clint Eastwood, 2006)

L'uomo che fissa le capre (Grant Heslov, 2009)

Buongiorno Notte (Marco Bellocchio, 2003)

Vallanzasca - Gli angeli del male (Michele Placido, 2010)

Paz! (Renato De Maria, 2001)

Stato di paura (Roberto Burchielli, 2007)

Gorbaciof (Stefano Incerti, 2010)

L'esplosivo piano di Bazil (Jean-Pierre Jeunet, 2008)

Confessions (Tetsuya Nakashima, 2010)

127 ore (Danny Boyle, 2010)

Qualunquemente (Giulio Manfredonia, 2011)

American life (Sam Mendes, 2009)

Look both ways (Sarah Watt, 2005)
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