Archivio per novembre 2010

Abituarsi al cielo grigio

 Il cielo grigio non può diventare un’abitudine.  Non si può restare indifferenti a un colore che schiaccia. Non dovrebbe condizionare le giornate, ma ci riesce. Ti svegli, guardi fuori dalla finestra e sai già che sarà una giornata lunga. E’ la nebbia del mattino, rintocco simbolico di quello che sarà. E’ la sensazione di umido sulla pelle, la voglia di stare chiusi, lontani, senza occhi che si posano. Quando appena uscito dal mondo dei sogni riesci a vedere spicchi di blu, è semplicemente un’altra cosa. E io sono fatta per i cieli azzurri.

Nino suona per il dolore degli altri

Nino una mattina si è svegliato e il suo corpo non era più il suo, non rispondeva più ai suoi comandi. L’ernia operata due mesi prima adesso era un dolore insostenibile. Nino vive da otto mesi in una stanza d’ospedale, terzo piano della Fondazione Maugeri, sul cartellino della porta c’è scritto “terapia del dolore”. Sessant’anni, musicista  da sempre. Barese di nascita, milanese d’adozione. Una passione per Vasco, per la musica che ha sempre accompagnato ogni suo movimento. Nel tardo pomeriggio toglie il lenzuolo bianco che copre la tastiera, che si è fatto portare in ospedale. Prende un microfono dal cassetto, si sposta con la sua sedia a rotelle. Canta. Lo fa da otto mesi. Canta per gli altri pazienti. Per il ragazzo della camera di fronte, per la vecchietta che gli chiede sempre Vasco, per quelli che da questo ospedale non usciranno vivi e lo sanno. All’armadio ha attaccato alcuni biglietti, persone passate di lì, frasi in corsivo per ringraziarlo. “Sono di persone che non ci sono più”. Le vedi alle sei, per la cena. Poi dopo un’ora non le potrai vedere più. La sua voce si spezza. “Fa male”, mi dice. Questo è un posto dove devi cercare la forza a tutti costi. La musica non fa passare il dolore, troppo forte, continuo, insistente. Ma Nino Abbondanza sa che con la sua musica può portare il pensiero lontano, da un’altra parte. Almeno per un po’. Ha tolto dal silenzio chi voleva solo guardare il muro della camera, il bianco del letto. Ha fatto fare passi di danza a donne che poi hanno smesso di camminare. Mi ha chiesto che canzone volevo. Gli ho chiesto Baglioni. Ha suonato e cantato per me Amore bello e Mille giorni di te e di me. E io mi sono seduta sul pavimento di questa stanza di ospedale. Ho ascoltato, cantato. Il blocco per gli appunti ormai nella borsa, la penna stretta in mano. E lacrime calde, perché è difficile non piangere.

Born into brothels, non si può scegliere

Avijit ha dieci anni, le fossette sulle guance paffute. Suo padre non può fare a meno delle droghe. Sua madre è morta, il suo protettore le ha dato fuoco. E il sorriso di questo bambino si spegne: “Nella mia vita non c’è più speranza”. Suchitra vive con sua zia, una prostituta. Ha un sorriso scomposto e un destino segnato. “Non c’è rimedio a questa situazione”? Lei ci pensa prima di rispondere. Guarda in basso, poi gli occhi tornano alla telecamera. “No”. Born into brothels (film documentario di Zana Briski e Ross Kauffman, 2005) racconta i volti dei bambini nati nei bordelli di Calcutta. Zia Zana – come la chiamano loro – è una fotografa e a loro insegna a guardare il mondo attraverso immagini da scattare. Una macchinetta ciascuno, rullini da usare con cura. E le loro fotografie, quello che vedono questi bambini è un mondo fatto di donne costrette a subire uomini ubriachi, piccoli di pochi anni legati con una catena, sporcizia, piatti da lavare sul pavimento. Ma anche colori, gli occhi che si illuminano.
Destini segnati. Questi bambini sorridono comunque, più consapevoli degli adulti. E’ un documentario che racconta pezzi di vita, e che prova a cambiare il futuro. Difficile, perché nemmeno le scuole e i collegi, nemmeno le missioni, sono disposti a prendere i bambini nati nel bordello. Con la fotografia trovano una possibilità. Che è diventata un’associazione, Kid with cameras, per raccogliere fondi e provare a riscrivere i destini segnati. Questo mi colpisce, un bambino di dieci anni che sa già cosa lo attende, e non perde tempo a sognare un futuro da astronauta o da ballerina. Pensa solo che un giorno dovrà badare ai fratelli più piccoli. E che no, non c’è speranza, se non arriva qualcuno da un altro mondo a tenderti la mano.

Una navicella spaziale può stare in un dvd

Ho ordinato alcuni dvd da Internazionale. Stamattina arriva il pacco. E già mi sono stupita perché non mi hanno fatto firmare su un pezzo di carta, ma su un palmare. Evviva la tecnologia! Porto il pacco in camera, taglio il nastro adesivo, tolgo il cartone spesso, poi quello più sottile. Mi piace. Sembra Natale. Trovo un libro e subito penso “che carini mi hanno aggiunto anche questo”, poi invece mi ricordo che no, lo avevo ordinato. Apro tutti i dvd, con la soddisfazione di togliere di mezzo la plastica trasparente e liberare la confezione, così posso curiosare subito, anche solo per vedere il colore del disco che nasconde dentro di sé le immagini e le parole che mi aspetto. Scarto l’ultimo, Letter to Anna di Eric Bergkraut , il film del regista svizzero sulla giornalista Anna Politkovskaja, uccisa nel 2006. E dentro… trovo uno di quei giochini per costruire una navicella spaziale di Star Wars (vedi foto). Niente dvd. Sorrido. Uno scherzo, divertente. Anche se mi spiace che sia proprio su questo film. Così scrivo a Internazionale. Senza polemica, ovvio. Ammetto che la cosa mi ha divertita. E poi mi è venuto in mente l’oroscopo di Rob Brezsny. Il “compito per tutti” di questa settimana dice: “Qual è il problema più salutare che potresti inventarti in questo momento”? Allora, per non rischiare di essere considerata matta (chi mi crederebbe se dicessi “Scusi, ho trovato una navicella spaziale dentro a un dvd”?) scatto una foto e la allego alla mail, con numero di spedizione e di telefono. Passano pochi minuti. Squilla il cellulare, un numero di Roma. Mi risponde una signorina dello shop di Internazionale, ancora ridendo. E ridiamo insieme. La foto è piaciuta. Le spiego. Mi spiega. “Ogni tanto capita, a qualcuno è arrivato a casa un film porno”, mi dice. Mi fanno subito un pacco con il dvd. Fantastico. Adoro Internazionale.

Serve tempo. Aspettare, dimenticare, sognare

Aspettare, far passare il tempo. Vedere cosa succede. E una soluzione: sì, poi tutto si aggiusta. Hong Kong Express. Wong Kar Wai. Due storie. E dentro tutto quello che vorremmo saper raccontare. Mi avevano detto che è uno di quei dieci film che vorresti non avere ancora visto, per poterti godere ogni immagine. Per poterti sorprendere ancora. E’ uno di quei film che aiuta a respirare meglio.

Lui è appena stato lasciato. Lei non lo cerca, ha un altro. Lui si dà un mese di tempo. Per aspettarla, per dimenticarla. E ogni giorno, fino a quel primo maggio, uno dopo l’altro compra 30 barattoli di ananas. Lei lo adorava. “Se anche i ricordi sono come i barattoli di ananas spero che quel barattolo non scada mai. E se proprio deve avere una data di scadenza spero sia tra 10mila anni”. Una data di scadenza. Un’indigestione, fino a vomitare tutto, ananas e memoria. I ricordi restano, non si vogliono non si possono cancellare, ma un viso nuovo porta uno strato di polvere più profondo.

Lui è appena stato lasciato. Lei ha deciso di cambiare. Di andare e non tornare. Lui cerca di capire attraverso il suo tempo, il suo spazio, i suoi oggetti. Incontra il sogno di scappare, indossato sbarazzino da una ragazza che lo cerca. Che lo vuole. Ma non abbastanza da smettere di sognare. C’è un tempo del silenzio, c’è un tempo per dormire, un tempo per ricordarsi di non smettere di osservare, per diventare più attenti. E’ quello il tempo in cui bisogna capire. Aspettare? Forse. Ma con una data di scadenza.

Le parole degli altri, il silenzio

Il tempo che ci rimane. Nazareth, vista con gli occhi di un bambino, poi di un ragazzo costretto a scappare, poi di un adulto che riesce a tornare. Il conflitto arabo-israeliano è come vive una famiglia, sono le lettere da scrivere a chi è lontano, il coprifuoco, il silenzio. Del silenzio mi piace quello che dice il regista, Elia Suleiman.

Trovo che il silenzio sia molto cinematografico. Il silenzio è una cosa meravigliosamente sovversiva. Tutti i governi lo odiano perché è un’arma di resistenza. Quando leggi una poesia, per esempio, il respiro gioca un ruolo fondamentale. Molte persone si sentono intimidite dal silenzio, perché le destabilizza, le priva della loro identità. Prendiamo i film commerciali, con una narrazione classica: uno prega che arrivi un momento di silenzio, e quando il film è finito ti accorgi che non è stato detto niente; allo spettatore non è stato detto niente su cui riflettere. Il silenzio ti fa mettere in discussione le cose. E’ un momento di condivisione, e di partecipazione.

(Elia Suleiman)

Genoani occasionali, quel brutto striscione contro

“Genoano occasionale vieni solo con l’Internazionale”. Lo striscione compare qualche minuto prima di Genoa-Inter. Non sono d’accordo. Io che già mi innervosisco per il tifo-contro, non sono d’accordo. A Marassi c’erano quasi 30mila persone, di cui 20mila abbonati. Come funziona? Solo chi vede allo stadio tutte le partite è considerato un tifoso vero? Non sono d’accordo. C’è chi la domenica (o il sabato o il venerdì o pensa un po’ anche il lunedì) lavora. C’è chi semplicemente non può permettersi di pagare il biglietto e quindi seleziona con attenzione le partite sul calendario. Così, per informazione: la tribuna superiore costa 60 euro (escludendo a priori quella centrale da 100 a 150 euro), i distinti (lato lungo di fronte alla tribuna) costano 40 euro, gradinata 25 euro (se c’è posto) e 25 anche il settore ospiti, a Genova è la “gabbia” per le reti che circondano gli angoli riservati ai tifosi avversari. Non sono d’accordo dunque con quello striscione. O forse semplicemente non posso capire. Perché dovrebbe essere così sbagliato voler vedere in campo un Eto’o o magari Milito che fino a due anni fa era rossoblu? Perché dovrebbe essere sbagliato voler vedere una potenziale bella partita di calcio? Il tifoso che fa distinzioni, che fa lo schizzinoso con le facce nuove sugli spalti proprio non lo riesco a capire.


I BRUSCHI DETTAGLI

Raccontare, vedere poi ascoltare e scrivere. Leggere, chiedere, curiosare. E una pagina bianca per dirlo a qualcuno. Non il Tutto, solo qualche dettaglio

SUL COMODINO

Paul Auster, un po' di Pamuk, Erri De Luca

ULTIME LETTURE

Un uso qualunque di te (Sara Rattaro)

Twitter factor (Augusto Valeriani)

La vita è altrove (Milan Kundera)

1Q84 (Haruki Murakami)

Zita (Enrico Deaglio)

L'animale morente (Philip Roth)

Così è la vita (Concita de Gregorio)

I pesci non chiudono gli occhi (Erri De Luca)

Cattedrale (Raymond Carver)

Lamento di Portonoy (Philip Roth)

Libertà (Jonathan Franzen)

Il dio del massacro (Yasmina Reza)

L'uomo che cade (Don De Lillo)

Il condominio (James G. Ballard)

Sunset limited (Cormac McCarthy)

I racconti della maturità (Anton Cechov)

Basket & Zen (Phil Jackson)

Il professore di desiderio (Philip Roth)

Uomo nel buio (Paul Auster)

Indignazione (Philip Roth)

Inganno (Philip Roth)

Il buio fuori (Cormac McCarthy)

Alveare (Giuseppe Catozzella)

Il Giusto (Helene Uri)

Raccontami una storia speciale (Chitra Banerjee Divakaruni)

Cielo di sabbia (Joe R. Lansdale)

La stella di Ratner (Don DeLillo)

3096 giorni (Natascha Kampusch)

Giuliano Ravizza, dentro una vita (Roberto Alessi)

Boy (Takeshi Kitano)

La nuova vita (Orhan Pamuk)

L'arte di ascoltare i battiti del cuore (Jan-Philipp Sendker)

Il teatro di Sabbath (Philip Roth)

Sulla sedia sbagliata (Sara Rattaro)

Istanbul (Orhan Pamuk)

Fra-Intendimenti (Kaha Mohamed Aden)

Indignatevi! (Stéphane Hessel)

Il malinteso (Irène Némirovsky)

Nomi, cognomi e infami (Giulio Cavalli)

Tangenziali (Gianni Biondillo e Michele Monina)

L’Italia in seconda classe (Paolo Rumiz)

ULTIME VISIONI

Be kind rewind (Michel Gondry, 2007)

Kids return (Takeshi Kitano, 1996)

Home (Ursula Meier, 2009)

Yesterday once more (Johnnie To, 2007)

Stil life (Jia Zhang-Ke, 2006)

Cocaina (Roberto Burchielli e Mauro Parissone, 2007)

Alla luce del sole (Roberto Faenza, 2005)

Come Dio comanda (Gabriele Salvatores, 2008)

Genova, un luogo per dimenticare (Michael Winterbottom, 2010)

Miral (ulian Schnabel, 2010)

Silvio forever (Roberto Faenza, 2011)

Election (Johnnie To, 2005)

Oasis (Lee Chang-dong, 2002)

Addio mia concubina(Chen Kaige, 1993)

La nostra vita (Daniele Luchetti, 2010)

Departures (Yojiro Takita, 2008)

La pecora nera (Ascanio Celestini, 2010)

Flags of our fathers (Clint Eastwood, 2006)

L'uomo che fissa le capre (Grant Heslov, 2009)

Buongiorno Notte (Marco Bellocchio, 2003)

Vallanzasca - Gli angeli del male (Michele Placido, 2010)

Paz! (Renato De Maria, 2001)

Stato di paura (Roberto Burchielli, 2007)

Gorbaciof (Stefano Incerti, 2010)

L'esplosivo piano di Bazil (Jean-Pierre Jeunet, 2008)

Confessions (Tetsuya Nakashima, 2010)

127 ore (Danny Boyle, 2010)

Qualunquemente (Giulio Manfredonia, 2011)

American life (Sam Mendes, 2009)

Look both ways (Sarah Watt, 2005)
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