La testa appoggiata alla mano, Roberto Saviano guarda dritto davanti a sé. I volti di chi in quell’aula lunga e alta aspetta di sentire le sue parole. Non si può scrivere tutto, riportare tutto quello che ha detto in aula del 400, nella prima serata di Mafie 2010 a Pavia. Ma si può provare a trasmettere la pienezza con cui riesce a raccontare. E’ un fiume in piena, potrebbe parlare per ore. In alcuni momenti sembrano un peso quelle parole che deve riuscire a trasmettere. A volte invece sembrano una liberazione. “Chi racconta costruisce gli strumenti per cambiare il paese, chi dice che invece fa fare brutta figura al paese è il primo a invitare all’omertà». E lui racconta. Nonostante tutto. Anche se attorno è circondato dalla scorta. Che non lo lascia mai solo. E mentre lo vedi lì, per la prima volta così vicino, pensi che non può andare a mangiare una pizza, o al cinema o girare tra gli scaffali di una libreria. Che non può nemmeno fare due passi tranquillo, da solo. Per questo sento la sua voce come un peso e una liberazione. Le sue parole sono la condanna alla sua “situazione”, come lui stesso definisce la condanna a morte che pende sulla sua testa, ma sono anche l’unica cosa per cui vale la pena andare avanti.
Le parole servono per far capire, per rendere più consapevoli. “C’è solo un modo per salvare i giovani, spiegare come stanno davvero le cose”, dice Saviano. Non possono vedere davvero solo l’auto di lusso o il telefonino nuovo ogni settimana. Devono sapere che se decidono di entrare nel sistema prenderanno 2500 euro a omicidio, con weekend all’estero per cambiare aria per un po’. Dopo dieci anni prenderanno più o meno 4-5mila euro al mese. Tanti. Ma poi? Poi basta. E se si finisce in galera quei soldi andranno solo alle mogli con figli. “E devono sapere che un giorno arriverà qualcuno in carcere a dirti che tua moglie non può stare senza marito e che quindi puoi scegliere. Puoi scegliere da chi farti sostituire, un cugino, un fratello”. Non è vita questa. Nomi e cognomi, date, ricordi. Fatti di cronaca che si intrecciano alle sue sensazioni. Sono riuscita a sentire e vedere Saviano, sono riuscita a parlare qualche minuto con lui, che ha accettato di stringere mani, di firmare libri, alle persone che si sono messe in coda. Mi sento una privilegiata. Perché fuori dall’aula, c’erano 1500 persone che non hanno visto e sentito niente.Motivazioni varie, sicurezza soprattutto. Ma c’è stata poca chiarezza.