Da Mont Juic vedi tutta Barcelona, riconosci i container del porto che vedi dall’aereo appena arrivato, le guglie, il verde, il mare. Dalle Ramblas abbiamo attraversato il Raval, per prendere la funicolare alla stazione di Paralel-el. Ai balconi hanno appeso lo striscione “Volem un barri digne”. Chiedono un quartiere degno, almeno. E’ più buio e sporco di altre zone, ci passa meno gente, ma ci trovi un elettricista (turco, che ci ha venduto un adattatore funzionante, non come l’indiano che ci ha fregati), piccoli negozietti, una sorta di garage con frigoriferi in vendita, anziani seduti sulle panchine “singole”. Attraversi le Ramblas e in effetti sembrano due città diverse.
A El Born siamo entrati in un negozietto, volevo provare una maglietta. Ho fatto segno alla ragazza. Lei mi ha aperto la tenda del camerino. “Siete italiani?” “Sì..” “Si capisce, perché parlate sotto voce…”. Stupore. Le ho detto che gli italiani mi sembrano sempre più casinisti degli altri. “No, lo sono più gli inglesi”. Può essere, penso io. Però di italiani qui ne sento troppi e si fanno sentire. Mentre provo la maglietta, mi racconta che è di Brindisi e vive a Barcellona da due mesi. Il suo ragazzo ha trovato un posto da ingegnere (“lo hanno cercato loro – mi dice – mentre in italia non trovava niente”) e lei tra un amore via skype e un’altra vita in Spagna ha deciso al volo di trasferirsi. Per ora lavora in questo negozio, però è un’assistente sociale. “Qui ti fanno i corsi gratis di spagnolo, non ti lasciano solo”. Per fare il suo lavoro dovrà imparare anche il catalano, il castigliano in pratica non le serve. Ci vorrà più tempo. Ma nessuno le ha detto che non si può fare, anzi. Mi dice che Barcellona ti offre tutto quello che vuoi. Forse è vero. Io la sento troppo nelle mani dei turisti, non tutta. Per fortuna non ancora tutta.