Archivio per ottobre 2008

Nebbia

Ecco, è arrivata. Domenica mattina ore 8, poi 9, poi 10. Nebbia fitta e umida, che confonde lo sfondo, che crea una barriera. Nebbia difficile da digerire per chi non ci è nato in mezzo. Nebbia che mette in risalto la differenza con altri cieli, blu, azzurri, macchiati di nuvole paffuti, e non bianchi, grigiastri. Nebbia.

La crisi? Si combatte con lo spirito natalizio

Genova, via san Lorenzo. E ci sono già le decorazioni natalizie. Le luci, le stelle fatte di piccole lampadine, le ghirlande con al centro una palla rossa. Le hanno messe lo scorso fine settimana. Un po’ presto, mi sembra. Ma il Natale è già arrivato anche nei supermercati. In modo subdolo. Perché non ci sono alberi di Natale, stelle comete e imponenti renne trainate da babbo Natale a decorare le confezioni dei dolci. Ma i dolci ci sono, panettoni e pandori in prima fila tra gli scaffali. Con una motivazione, lasciata intendere da più parti. Per far sentire alla gente meno forte l’aria di crisi si cerca di anticipare lo spirito natalizio. Quindi le feste contro i conti che non tornano. Eppure a me sembra persino il contrario. Nel vedere già i primi segni del Natale (con più di due mesi di anticipo) non ci si sentirà ancora più depressi per tutti quei dolci che non si potranno comprare, per il cenone che dovrà essere più modesto, per i regali che si ridurranno a “piccoli penseri”?

“Oggi è solo l’inizio”

Anche Pavia ha avuto la sua contestazione. Anche la Pavia universitaria è riuscita a muoversi contro il decreto Gelmini. Di Pavia si dice che è addormentata, che non reagisce, non riunisce, che è sempre troppo contenuta nelle reazioni. E’ normale che vista questa considerazione di base, e visto il fermento nelle altre piazze italiane, anche gli universitari pavesi si siano decisi a dare voce, spazio e concretezza ai loro no. Nessuno si aspettava di vedere migliaia di studenti riuniti sotto il cortile del rettorato, insieme a docenti (comunque non molti), ricercatori, dottorandi e personale tecnico. Eppure è andata così. Mentre il senato accademico discuteva se approvare o meno la mozione presentata dagli studenti (mozione che chiedeva una presa di posizione rispetto ai tre “no” della legge 133: i tagli, il blocco del turn over e la possibilità per gli atenei di diventare fondazioni private) si sono alternati al microfono rappresentanti di tutte le categorie, tre minuti a testa per raccontare il proprio dissenso, un’esperienza, una proposta. Uniti e senza bandiere. Anita, una ricercatrice precaria ha ricordato quanti precari lavorano tutti i giorni in universitò, Lorenzo ha espresso il disagio dei dottorandi,  “che vivono nell’angoscia del futuro e per questo lavorano male nel presente”. Poi docenti, alcuni pronti a spiegare in piazza. E tanti studenti. Giovanni, scienze politiche, ha preso il microfono per dire con entusiasmo che in quattro anni di università non aveva mai visto tanta gente in assemblea. “BIsogna dare un segnale a questa Pavia sempre morigerata”, l’appello di Anna Maria, chimica. Michele è partito dal cartello appeso al muro, dietro le sue spalle: “Oggi è solo l’inizio”, per dire che bisogna coinvolgere anche la città. 

In senato accademico si sono astenuti solo i due rappresentanti degli studenti di Azione Universitaria, non un’astensione politica – hanno spiegato – ma per ribadire la contrarietà rispetto ai “no senza proposte alle spalle”. La mozione comunque è passata, non le azioni simboliche che gli studenti avevano chiesto di prendere in considerazione (lezioni in piazza, rinvio dell’inaugurazione dell’anno accademico). Ora si va avanti. Per tutta la settimana ci saranno le assemblee di facoltà. Ma la protesta – che fino a questo momento è sempre stata, almeno a Pavia, divisa per ordine di scuola – adesso potrebbe davvero coordinarsi. Ancora una volta grazie a Internet. La rete creata dai genitori delle elementari ha raccolto anche gli universitari, e la catena ha raggiunto anche i licei. Come si articolerà la protesta? Difficile dirlo, per il momento. Ma intanto le voci iniziano a farsi sentire. Dopo le maestre e i genitori in piazza della Vittoria, sono arrivati gli studenti, che hanno spostato l’assemblea di ateno da una delle aule di giurisprudenza, al cortile sotto il rettorato. Perché la “piazza” dell’università pavese è proprio i cortile, con i supo portici, le sue panchine, punto di incontro e di scambio. Ora anche i licei stanno prendendo consapevolezza. Servirebbe un’azione dimostrativa. Servirebbe una catena umana dal centro verso il Ponte Vecchio, un sit-in in Piazza, una distesa di teste pensanti, unite per non mettere a rischio il futuro. Mi piace pensare che forse anche Pavia arriverà ad avere la sua lezione in piazza, come Pisa o Genova. Gli studenti, a gambe incrociate sui ciotoli pavesi, prenderanno appunti tra i passanti curiosi e disinformati, che magari si fermeranno ad orecchiare numeri, teorie e letture. Potrebbe essere un’esperienza interessante, prima ancora che una protesta simbolica.

“Ma poi chi è ‘sta Gelmini?”

Ore dieci, in piazza della Vittoria arriva Daniela. Ha portato il tavolo, i voltantini da distribuire e i cartelloni da appendere. Poco dopo la raggiunge Paola. Porta le due gambe mancanti del tavolo. Daniela è maestra di inglese alle elementari, Paola è una mamma. Stanno raccogliendo firme, insieme ad altre famiglie, ad altri insegnanti, contro la riforma della scuola. E’ il primo sabato di una serie, per riuscire a raccogliere il maggior numero di firme. Che sono già quasi duemila.
A dare una mano arrivano anche altre maestre, qualche mamma. Fermano la gente per strada. Attive, sorridenti, ma anche dure se serve. Spiegano alla gente cosa comporta il ritorno al maestro unico. Si parla di tempo pieno, tagli, precari, classi di inserimento per stranieri.
“Vi interessa la scuola?”, chiede Rosanna, insegnante alle elementari, a una signora. “Sì, ma non firmo”. Sarà una mattinata difficile. Ma queste maestre trasmettono entusiasmo, credono in quello che spiegano alla gente, ecco perché tanti si fermano, prendono il documento tra le mani e firmano. Quando qualcuno risponde “non firmo perché sono d’accordo con la Gelmini”, si ferma tutto. Si fa gruppo, si discute, se ne parla, si cerca di capire. Non è una manifestazione di massa, come quelle che in queste settimane si vedono in molte città, ma per Pavia è la prima protesta concreta, il primo tentativo di coinvolgere la città. E vedere che così, in mezzo alla Piazza, c’è gente che si ferma a parlare con estranei di temi importanti, che racconta le proprie esperienze positive o negative, che si confessa, che chiede, che si informa, fa uno strano effetto. 
La signora Felicita, 62 anni, firma “per i suoi nipoti” e racconta di quando era bambina, la più grande di nove figli, che per questo non era stata mandata a scuola, e ora “mi arrangio – dice – leggo qualche testo, ma non sempre riesco a mettere insieme le frasi”. C’è chi firma per solidarietà, ma non è tanto convinta. Elena, spiega, ha visto l’intervista di Paola Perego alla Gelmini a Buona Domenica, ed è rimasta impressionata, positivamente. (Io però mi ricordo quella domenica. E’ stato abbastanza nauseante. In studio non c’era controparte, parlava solo il ministro, nessuno a fare domande critiche. Sono entrati dei ragazzi in studio per fare domande, ma hanno lasciato solo il tempo per chiedere lumi sui libri di testo… forse l’unica cosa positiva della riforma). In mezzo a tanto parlare, a tanta canfusione si sente un“Ma poi chi è ‘sta Gelmini?”.  Lo chiede una bimba alla sua mamma, mentre lei firma il documento. Ha ragione questa bimba. Strappa un sorriso a chi è costretto ad aprire l’ombrello per riparare i fogli. Le maestre sono scatenate. Rosanna, avvolta in una sciarpa verde, ferma un ragazzo giovane: “Non firmi per la scuola?”. “No, ormai la scuola l’ho finita…”. A me vien da pensare: “Ecco perché troppe cose non vanno per il verso giusto”, Rosanna invece si ferma a parlare e cerca di capire. Poi lo lascia andare. “Non si può convincere tutti”. Però ci si prova. A spiegare almeno, che è già importante.

I volti della passione, 28 gradini in ginocchio

Forse inquietante non è la parola giusta. Forse bisognerebbe precisare che se un luogo inquieta è perché turba e agita. Non quieta, non rilassa, non distende. Ma smuove qualcosa dentro. Quando sono arrivata al santuario della Passione di Torricella Verzate ho subito pensato a questa parola. Mi è sembrata inquietante la via crucis raffigurata con sculture chiuse dentro a tcappelle-teche di vetro nel piazzale della chiesa, così come i souvenir in vendita all’interno: rosari e cartoline, come a dire che ogni santuario ha il suo lato commerciale.
apre una porta in legno scuro, sul retro della chiesa. Su un cartello si comunica ai visitatori che è possibile lasciare delle fotografie, con l’indicazione del luogo e della data. Cosa significa? Lo scopri aprendo la porta. Davanti una scritta nera sulla parete grigia recita che è salendo quella scala in ginocchio si potranno ottenere nove anni di indulgenza per ogni gradino. Lo aveva concesso Papa Pio IX nel 1877. Accanto alla scritta una campana, da suonare al proprio ingresso. La luce entra da occhi rotondi, vetrate rosse e blu illuminano la scala. Subito non pensi a cosa significa salire una scala in ginocchio, a quella promessa di indulgenza. No. Subito, appena entrato vedi le fotografie. Volti sempre sorridenti riparati dalle rughe della vita sono appesi ai lati della scala, e poi più su, fino all’ultimo gradino. Sono le fotografie di ragazzi e ragazze, bambini, famiglie, coppie, sorelle, amiche, genitori morti in un incidente stradale. Data di nascita e di morte, luogo dell’incidente. La maggior parte aveva vent’anni. Molti anche meno. Chi sale le scale in ginocchio, deve farlo con devozione per avere l’indulgenza, e ad ogni gradino lo pugnala un sorriso, un volto delicato di un giovane morto schiacciato nella sua auto. Ecco perché all’ingresso un cartello avvertiva di quella possibilità. Questa cappella del santuario è curata dall’associazione Familiari vittime della strada. Nei santuari si vedono spesso stanze, cappelle, pareti le cui uniche decorazioni sono disegni, fotografie di famiglie salvate, di miracolati, ci sono piccoli gessi di bambini feriti ma salvi. Qui invece ci sono immagini di chi non vive più.

I libri salvati

Per fortuna c’è chi salva i libri. Chi li compra non solo per il proprio piacere personale, ma con la convinzione di lasciarli in eredità agli Altri. Ho trovato il mio libro. Una copia di Aprile è arrivato era disponibile al Fondo Manoscritti dell’università di Pavia.

Solo per dire grazie.

I libri estinti

Non riesco a rassegnarmi ai libri estinti. Entro in libreria e chiedo se hanno “Aprile è arrivato” di Morley Callaghan. Il libraio storce il naso perché si ricorda di non vederlo in giro da un po’. Gli sembra di aver già chiamato l’editore, e di aver già sentito la parola “estinto”, ma comunque gentilmente continua la ricerca. Ma è solo una conferma del suo sospetto. Niente, quel libro non c’è più, non lo ristampano più. Lo si può trovare solo in biblioteca o su qualche bancarella, sperando che qualcuno si sia preso il disturbo di salvarlo. La mia doveva essere una faccia distrutta, tanto che il libraio mi ha guardata e mi ha detto “mi dispiace”. Come quando si dà una brutta notizia. “Ma perché voleva proprio quel libro?” , mi chiede. “Me lo hanno consigliato”, rispondo. Non potevo dirgli che qualcuno mi ha detto che quel libro mi assomiglia, che c’è dentro qualcosa del mio modo di vedere le cose e di scriverle. Se è estinto lui… lo sono anch’io?

Dancer in the dark

Sapere di dover diventare ciechi dev’essere difficile da gestire, forse cerchi di fissare nella memoria il maggior numero possibile di immagini, di volti, di espressioni, per avere una possibilità in più di vedere, anche se solo nei ricordi. Cosa significa diventare ciechi lo racconta Bjork, che insegna cosa significa ballare nel buio, in Dancer in the dark di Lars Von Trier. Ci fa capire cosa comporta non vedere nulla mentre si lavora, mentre si parla, mentre si cammina, mentre si vorrebbe recitare in un musical. Senza pietismi, senza compassione, molto semplicemente e con quel pizzico di pazzia che segna anche la sua voce e il suo modo di cantare. Il musical che vorrebbe poter ancora recitare non è casuale. Si tratta di Tutti insieme appassionatamente, film musicale del 1965 tratto dalla commedia musicale The sound of music. Devo ammettere che il film lo so a memoria, e sentire Bjork che canta “Le cose che piacciono a me” (che in Tutti insieme appassionatamente la protagonista canta durante un temporale), mentre aspetta la condanna a morte, fa uno strano effetto. Come sia spesso stupido dire e suggerire di cercare un pensiero felice per non pensare al peggio, come sia tremendamente fiabesca questa ricerca (in fondo per volare Peter Pan aveva il suo pensiero felice, prima ancora della polvere magica). Eppure, quando è buio, buio soprattutto fuori, ma non dentro, ci sono musiche, parole, suoni, pensieri che salvano. Dancer in the dark riesce a farti rimanere senza fiato, riesce a farti arrabbiare, diventa difficile stare seduti, si vorrebbe poter cambiare il corso della storia, poter intervenire. Bello e poetico, ma attaccato con le unghie a sensazioni reali, a problemi della vita, alla cattiveria di molte persone, alla Storia, quella fatta – spesso – di decisioni incomprensibili.

Eros e musica spiegati da Vecchioni

“Sarà un corso sulla forza dell’amore come slancio vitale”. L’amore nella canzone, nella poesia, dal primo testo estrapolato dal Cantico dei cantici, attraverso l’ellenismo, i provenzali, poi il Novecento, “spunti di eros e censura nella canzone italiana”, ma anche “la Rai e le canzoni oscurate”, fino alla canzone napoletana, a De André, all’omosessualità nelle canzoni italiane. Si parlerà di Eros, durante il corso universitario che Roberto Vecchioni, cantante, scrittore e docente ha iniziato ieri a Pavia per gli studenti del biennio in Editoria e comunicazione multimediale. “Amore, sessualità ed erotismo nella storia della canzone” sarà un viaggio tra le parole e la filosofia, un corso come se ne trovano pochi in università, fatto di pensieri, di musica, di interpretazione, di lavoro sui testi. Vecchioni, jeans scuri, camicia bianca e gilet, si è rivolto agli studenti pavesi proponendo subito il primo testo. Dal Cantico dei cantici viene il primo inno all’amore, “il primo grande elogio dell’amore fisico”. “L’amore – ha spiegato Vecchioni, a suo agio nella grande aula di palazzo San Tommaso – parte dalla base dell’approccio fisico. Ma l’erotismo fine a se stesso diventa animale, deve dilagare, diventare qualcosa di più ampio, anche se comincia dalla bellezza. I sensi si sconvolgono perché il tuo spirito possa sconvolgersi”. Viene naturale raccontare il mito di Amore e Psiche, perché racchiude tutto quello che dell’amore si può raccontare: la bellezza, l’innamorarsi, la passione, la paura, la gelosia, l’invidia, le prove della vita. “Eros è figlio di Penìa, Miseria, e Poros, Espediente. Eros è quindi l’unico dio a non essere già perfetto all’inizio, è sempre in cerca di qualcosa. E’ ciò che armonizza tutte le cose… quando non le distrugge. Il primo grado di Eros è scoprire l’Altro, cosa c’è dentro. Poi passare agli Altri, a molti altri, scoprire cosa hanno fatto di buono. Fino a quando la Bellezza si confonde con il Bene e con il Vero”.
Questo è il terzo anno di Vecchioni a Pavia. Aveva iniziato con un corso sui testi letterari in musica, poi le forme di poesia in musica per il secondo anno. Quest’anno ha scelto una riflessione sulle forme dell’amore, sugli espedienti per raccontare erotismo e sessualità. Ad accoglierlo c’erano una ventina di studenti, forse ci si aspettava un’affluenza maggiore visto che il corso è aperto non solo alla specialistica del corso in Comunicazione, ma anche al triennio. Forse ci si aspettava qualche curioso in più. Ma è meglio così, meglio mettere da parte il ruolo di “fan” se bisogna essere studenti davanti a un docente. Chi tra i banchi ha scelto il corso perché da sempre appassionato del cantante ha subito tenuto a precisare che però “è anche bravo come professore, molto chiaro nelle spiegazioni”. Direi che è molto pià che “chiaro”. E’ coinvolgente, è quel tipo di lezione un po’ filosofica, un viaggio fatto di parole e di quello che dietro di esse si nasconde. Scoprire qualcosa e stupirsi è sempre più che una semplice lezione.


I BRUSCHI DETTAGLI

Raccontare, vedere poi ascoltare e scrivere. Leggere, chiedere, curiosare. E una pagina bianca per dirlo a qualcuno. Non il Tutto, solo qualche dettaglio

SUL COMODINO

Paul Auster, un po' di Pamuk, Erri De Luca

ULTIME LETTURE

Un uso qualunque di te (Sara Rattaro)

Twitter factor (Augusto Valeriani)

La vita è altrove (Milan Kundera)

1Q84 (Haruki Murakami)

Zita (Enrico Deaglio)

L'animale morente (Philip Roth)

Così è la vita (Concita de Gregorio)

I pesci non chiudono gli occhi (Erri De Luca)

Cattedrale (Raymond Carver)

Lamento di Portonoy (Philip Roth)

Libertà (Jonathan Franzen)

Il dio del massacro (Yasmina Reza)

L'uomo che cade (Don De Lillo)

Il condominio (James G. Ballard)

Sunset limited (Cormac McCarthy)

I racconti della maturità (Anton Cechov)

Basket & Zen (Phil Jackson)

Il professore di desiderio (Philip Roth)

Uomo nel buio (Paul Auster)

Indignazione (Philip Roth)

Inganno (Philip Roth)

Il buio fuori (Cormac McCarthy)

Alveare (Giuseppe Catozzella)

Il Giusto (Helene Uri)

Raccontami una storia speciale (Chitra Banerjee Divakaruni)

Cielo di sabbia (Joe R. Lansdale)

La stella di Ratner (Don DeLillo)

3096 giorni (Natascha Kampusch)

Giuliano Ravizza, dentro una vita (Roberto Alessi)

Boy (Takeshi Kitano)

La nuova vita (Orhan Pamuk)

L'arte di ascoltare i battiti del cuore (Jan-Philipp Sendker)

Il teatro di Sabbath (Philip Roth)

Sulla sedia sbagliata (Sara Rattaro)

Istanbul (Orhan Pamuk)

Fra-Intendimenti (Kaha Mohamed Aden)

Indignatevi! (Stéphane Hessel)

Il malinteso (Irène Némirovsky)

Nomi, cognomi e infami (Giulio Cavalli)

Tangenziali (Gianni Biondillo e Michele Monina)

L’Italia in seconda classe (Paolo Rumiz)

ULTIME VISIONI

Be kind rewind (Michel Gondry, 2007)

Kids return (Takeshi Kitano, 1996)

Home (Ursula Meier, 2009)

Yesterday once more (Johnnie To, 2007)

Stil life (Jia Zhang-Ke, 2006)

Cocaina (Roberto Burchielli e Mauro Parissone, 2007)

Alla luce del sole (Roberto Faenza, 2005)

Come Dio comanda (Gabriele Salvatores, 2008)

Genova, un luogo per dimenticare (Michael Winterbottom, 2010)

Miral (ulian Schnabel, 2010)

Silvio forever (Roberto Faenza, 2011)

Election (Johnnie To, 2005)

Oasis (Lee Chang-dong, 2002)

Addio mia concubina(Chen Kaige, 1993)

La nostra vita (Daniele Luchetti, 2010)

Departures (Yojiro Takita, 2008)

La pecora nera (Ascanio Celestini, 2010)

Flags of our fathers (Clint Eastwood, 2006)

L'uomo che fissa le capre (Grant Heslov, 2009)

Buongiorno Notte (Marco Bellocchio, 2003)

Vallanzasca - Gli angeli del male (Michele Placido, 2010)

Paz! (Renato De Maria, 2001)

Stato di paura (Roberto Burchielli, 2007)

Gorbaciof (Stefano Incerti, 2010)

L'esplosivo piano di Bazil (Jean-Pierre Jeunet, 2008)

Confessions (Tetsuya Nakashima, 2010)

127 ore (Danny Boyle, 2010)

Qualunquemente (Giulio Manfredonia, 2011)

American life (Sam Mendes, 2009)

Look both ways (Sarah Watt, 2005)
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