Archive for the 'Perché' Category

Un morto alle 23 merita poche righe

Sono le 22.50. “Giriamo”? E’ il modo per dire che si può anche iniziare l’ultimo giro di nera. Il 118 dice al cronista che c’è un deceduto per monossido di carbonio. I soccorsi sono sul posto da meno di un’ora, non c’è nome non c’è età. Non ancora, ma è questione di tempo. E’ successo in via Pavia, verso la Sforzesca a Vigevano. Si sa solo che è un uomo, extracomunitario, lo hanno trovato sdraiato sul suo letto. Un amico lo cercava da ore, ma non aveva sue notizie. E lo ha trovato così, addormentato per un gas che significa riscaldamento di fortuna, che significa freddo e la fatica di sopportare il rischio di morire intossicati per non morire sicuramente congelati. Il cronista lo riferisce ai capi. Che si fa? Fino a pochi mesi fa non ci sarebbero stati dubbi. Si smontava una pagina, si ridisegnava, si aspettava ancora un po’ per avere qualche notizia in più. E si scriveva il pezzo. C’era tempo. Il giornale era già andato in stampa, ma si poteva ribattere. C’era la seconda edizione. Oggi si chiede in tipografia. Non era ancora successo da quando è cambiato l’orario e si stampa a Milano. Dicono che si possono scrivere solo poche righe, e solo nella prima pagina, e solo per Vigevano. Non c’è tempo per fare altro, il giornale – che ora si stampa da un’altra parte, che ora è inserito tra una pausa delle copie di un altro quotidiano molto più importante – è già andato, non si può più intervenire. E si possono scrivere queste poche righe solo perchè è successo a Vigevano, e la prima pagina non è ancora andata in stampa. Fosse successo a Pavia, persino a due passi dalla redazione, non si sarebbe potuto fare nulla. Fino a pochi mesi fa il lavoro a quell’ora tarda aveva un senso. Il cronista del piccolo giornale di provincia restava in redazione fino a tardi perché il suo mestiere è raccontare quello succede, il più possibile. E dare dignità alle storie e alle persone significa concedere il proprio tempo. E spazio. Oggi, alle 23, un morto può guadagnarsi solo poche righe. Anche se il cronista è in grado di fare di più, anche se sul posto è persino già arrivato il fotografo. Anche se c’è la volontà. Poco prima delle 23 (ma che siano almeno 15 minuti prima) si può solo aggiornare all’ultimo secondo il risultato di una partita di calcio. E buttare giù un pezzo, veloce. Sperando che il risultato non cambi troppo, e troppo in fretta. Certo, c’è tempo domani. Domani. Domani. Ma oggi il cronista non ha potuto fare bene il suo mestiere. E’ una sensazione amara.

I libri estinti, salvati

bancarella-libriTorno a scrivere di libri estinti. Curiosando tra le bancarelle di galleria Mazzini a Genova ho trovato il libro – estinto – che tempo fa avevo cercato in libreria (Aprile è arrivato di Morley Callaghan). Ne avevano persino tre copie. Sulla bancarella, ad attirare l’attenzione, c’era un grosso cartello “Super offerte libri scontari”. E in effetti i libri costavano davvero poco. Ma ad attirare dovrebbe essere piuttosto la possibilità di trovare pagine date ormai per perse. E che qualcuno invece sa ancora conservare.

Riflessioni sulle radici. Delle parole. Della gente

ge_veloRifletto. Genova, domenica mattina. Alla fermata dell’autobus in piazza Tommaseo una donna aspetta il bus. Indossa il niqab, il velo che lascia scoperti solo gli occhi. Trascina un trolley grigio. Suo marito le si avvicina, le sfiora il viso. Penso a una carezza. Ma la mano di lui non riesce a sfiorare la pelle di lei. Così “carezza” mi viene difficile da usare. Lui indossa una giacca a vento bianca. Guardo incuriosita perché a Genova non avevo ancora visto una donna indossare il niqab. Si vede molto più spesso l’hijab, che copre solo capelli, nuca e orecchie e lascia vedere il volto.

Rifletto. Ho imparato che in arabo jamah (moschea, congregazione) e jamh (plurale) hanno la stessa radice (jmh) e quindi sono legate dallo stesso significato “unire la gente”

Rifletto. Per le scale del mio palazzo incontro un mio vicino di casa. Se gli chiedo il nome ride, perché mi dice “per te è troppo difficile”. E’ senegalese. Qualche giorno fa è partito per il Senegal, starà via qualche settimana. Torna a casa per un motivo preciso: deve conoscere suo figlio Fallou. Adesso ha sei mesi, ma lui non lo ha mai visto. E’ nato quando lui era già tornato in Italia. Sua moglie lo aspetta in Senegal. Allora mi sono ricordata di una mattina che ero andata a parlare con la dirigente dell’ufficio stranieri di Vigevano per lavoro. Mi aveva spiegato che per alcuni paesi, come il Senegal, a venire in Italia sono solo gli uomini. Non vogliono ottenere il ricongiungimento, perché periodicamente tornano nel loro paese. Si sposano. Poi tornano in Italia. Hanno un figlio. Poi tornano. E vanno a vederlo quando ha già qualche mese, appena possono prendersi qualche giorno di ferie dal lavoro italiano. Quando i bambini sono più grandi passano qualche mese in Itali, anche con la mamma, nella pausa scolastica.
Ho visto il mio vicino di casa felice. “Vado a conoscere mio figlio”. Mi è sembrata una frase bellissima. Ma fa pensare. Ecco, rifletto.

La crisi? Si combatte con lo spirito natalizio

Genova, via san Lorenzo. E ci sono già le decorazioni natalizie. Le luci, le stelle fatte di piccole lampadine, le ghirlande con al centro una palla rossa. Le hanno messe lo scorso fine settimana. Un po’ presto, mi sembra. Ma il Natale è già arrivato anche nei supermercati. In modo subdolo. Perché non ci sono alberi di Natale, stelle comete e imponenti renne trainate da babbo Natale a decorare le confezioni dei dolci. Ma i dolci ci sono, panettoni e pandori in prima fila tra gli scaffali. Con una motivazione, lasciata intendere da più parti. Per far sentire alla gente meno forte l’aria di crisi si cerca di anticipare lo spirito natalizio. Quindi le feste contro i conti che non tornano. Eppure a me sembra persino il contrario. Nel vedere già i primi segni del Natale (con più di due mesi di anticipo) non ci si sentirà ancora più depressi per tutti quei dolci che non si potranno comprare, per il cenone che dovrà essere più modesto, per i regali che si ridurranno a “piccoli penseri”?

I libri salvati

Per fortuna c’è chi salva i libri. Chi li compra non solo per il proprio piacere personale, ma con la convinzione di lasciarli in eredità agli Altri. Ho trovato il mio libro. Una copia di Aprile è arrivato era disponibile al Fondo Manoscritti dell’università di Pavia.

Solo per dire grazie.

I libri estinti

Non riesco a rassegnarmi ai libri estinti. Entro in libreria e chiedo se hanno “Aprile è arrivato” di Morley Callaghan. Il libraio storce il naso perché si ricorda di non vederlo in giro da un po’. Gli sembra di aver già chiamato l’editore, e di aver già sentito la parola “estinto”, ma comunque gentilmente continua la ricerca. Ma è solo una conferma del suo sospetto. Niente, quel libro non c’è più, non lo ristampano più. Lo si può trovare solo in biblioteca o su qualche bancarella, sperando che qualcuno si sia preso il disturbo di salvarlo. La mia doveva essere una faccia distrutta, tanto che il libraio mi ha guardata e mi ha detto “mi dispiace”. Come quando si dà una brutta notizia. “Ma perché voleva proprio quel libro?” , mi chiede. “Me lo hanno consigliato”, rispondo. Non potevo dirgli che qualcuno mi ha detto che quel libro mi assomiglia, che c’è dentro qualcosa del mio modo di vedere le cose e di scriverle. Se è estinto lui… lo sono anch’io?

Scusa, ma sei Kakà?

Kakà guida un furgoncino, ma la sbarra abbassata del passaggio a livello lo costringe a fermarsi. Su quel furgoncino fa salire un bambino che gioca a calcio lì vicino. Insieme visiteranno diversi posti, portando in giro trionfanti lo spirito – quello positivo – del calcio. E’ il nuovo spot della Ringo che vede ancora una volta protagonista il pallone d’oro 2007. Il passaggio a livello che si vedrà in televisione è quello tra Borgarello e San Genesio, provincia di Pavia. E le riprese sono del 16 settembre. Inutile dire che molti curiosi e tifosi si sono fermati ad aspettare Kakà. La troupe aveva chiesto l’autorizzazione e la relativa chiusura del tratto interessato dalle 14 alle 20. E’ arrivata, con il regista Angel Garcia, intorno alle 17, quando chi sperava di strappare un autografo al giocatore brasiliano era già lì da qualche ora. Ma hanno aspettato inutilmente. Perché? Perché al posto di Kakà è arrivato un sosia che ha girato le scene alla guida del pullmino al posto del giocatore. Il vero Kakà ha girato invece altre parti a Milano in mattinata. Doveva essere a Borgarello per continuare lo spot, ma nel pomeriggio è arrivato lo stop della squadra. Ed è entrato in scena il sosia, che come si vede dalla fotografia scattata ieri pomeriggio è molto somigliante. Certo, le telecamere incuriosiscono sempre e vedere un ragazzo in tuta grigia praticamente identico a Kakà fa sempre un po’ effetto e fa sentire curiosi e tifosi spettatori in prima fila del mondo delle star. Il pomeriggio passa e si ha qualcosa da raccontare, ma resta un po’ di delusione. Soprattutto per i bimbi che si aspettavano il giocatore e quasi non potevano crederci di averlo lì a due passi da casa. E infatti sono rimasti a bocca asciutta. Sicuramente rispetto al tempo da dedicare agli allenamenti (visto anche l’inizio di campionato del Milan) quello per uno spot pubblicitario è meno importante, ma ci sono i soldi (su un blog si legge di un compenso di 900mila euro, ma sono voci dal web) e soprattutto i sorrisi smorzati di chi ieri era a Borgarello e davanti allo spot ora storcerà il naso. Ma il sosia-controfigura era già previsto? O era pronto a intervenire per sostituire il vero Kakà in caso di impegni? Ha lo stesso valore se il protagonista non è lui? E che senso ha mettere la sua faccia solo per alcune scene? Non so, sono dubbiosa. E chi aveva commentato lo spot precedente (alcuni stralci da un forum li riporto sotto) cosa penserà?

questo spot è fikissimo…cm anke kakà……..kakà 6 mitico!!!!!!!!!
senza di te questa publicità era uno skifo
(marzia)

questa pubblicità è fantastica x il semplice fatto che c’è Kakà!!!!! Non ci sono parole x descriverlo… Kakà è la perfezione fatta a persona. (serena)

Ciao Kakà, sono una tua grandissima fan!.volevo solo dirti che sei bravissimo e che sei il numero uno al mondo.Ho visto la pubbliità della ringo e devo dire che sei bellissimo.Ti guardo sempre sulla tv quando ci sono partite del milan (iery)

Una coperta per la Lanterna

Ai piedi della lanterna, stesa sulla roccia una bandiera di Genova un po’ anomala illumina la notte. Non sono presenza fissa a Genova da tempo e solo nei giorni scorsi mi hanno detto, imboccando la sopraelevata in zona lanterna, della novità. Leggo sul sito di Repubblica-Genova (perché ovviamente dopo essermi sentita dire “c’è una bandiera di Genova luminosa sotto la Lanterna” ho cercato di capirci qualcosa) che sono oltre 35mila lampadine che “si spegneranno e accenderanno componendo sequenze casuali, per poi definire, con l’accensione simultanea di tutto il parco led, una colossale bandiera di Genova”, come si legge nella didascalia che accompagna otto fotografie. Ammetto che dal vivo non l’ho vista, e potrebbe anche essere uno spettacolo suggestivo ed emozionante, ma a me sembra una “cagata pazzesca”, rubando l’espressione del genovese Paolo Villaggio che con il suo Fantozzi commentava la Corazzata Potemkin. Proprio ai piedi della Lanterna si trova la centrale dell’Enel, che molti non vorrebbero lì. C’è un collegamento con le 35mila lampadine? Non so, è un dubbio senza risposta.

Un altro mondo è possibile?

Genova ricorda il suo G8, lo fa con una manifestazione oggi, lo fa con i fiori che periodicamente vengono messi e tolti in piazza Alimonda. Ma a far parlare ancora di quella Genova c’è la sentenza su quanto accadde a Bolzaneto (condannati 15 imputati, 30 assolti, nessuno in carcere) e l’ultima notizia emersa dalle 20 pagine depositate all’ufficio impugnazioni del tribunale di Genova (un contingente di soldati americani era autorizzato e pronto a spararein caso di aggressione ai propri rappresentanti istituzionali).

Nel luglio 2001 ero nella mia Genova. Meno presente e preparata a giudicare quanto vedevo in città, ma ugualmente colpita. E scrivevo. Nella mia stanza al confine tra zona gialla e zona rossa. Così ho cercato in una cartella del mio computer quel file. L’ho trovato e lo trascrivo.

Genova… come non l’avevo mai vista…
(Domenica 22 luglio 2001, ore 17.23)

 Mi affaccio alla finestra, osservo il cielo, limpido, di un azzurro chiaro e intenso, un cielo libero e pulito, solcato da un elicottero che ogni tanto passeggia sopra i tetti come un gabbiano, che oggi non osa volare…

La strada è deserta, vuota, chiusa tra alti cancelli, avvolta nel silenzio come non lo è mai stata, la mia strada sempre piena di persone che corrono da un negozio all’altro, immersa nelle urla dei fruttivendoli e nelle chiacchiere dei passanti.

La mia strada… sempre animata da musiche spagnole o peruviane, sempre in festa, oggi tace, disabitata e impaurita, un silenzio inquietante, irreale, un presagio, un avvertimento… una quiete inaspettata…

Mentre indago sulla pace che mi trovo intorno, a pochi chilometri Genova cambia aspetto…

Sento una cronista al telegiornale che annuncia scontri e violenze, mi ritrovo a guardare senza parole la televisione, sbigottita mi lascio passare davanti immagini atroci, riconosco le vie, le stradine nascoste, i palazzi, gli alberi, le chiese, quella là dentro è la mia città, e io non posso fare nulla, non posso uscire, non posso salvarla, posso solo guardare in silenzio e piangere dentro…

Quante volte ho visto immagini di violenza, manifestazione scoppiate in risse, tra ragazzi che tirano pietre e poliziotti che tentano di fermarli, che rischiano la vita, per… la giustizia? Per lavoro? Non lo so… Ma tutte le volte mi sentivo lontana da quello scenario, impotente sì, ma fuori da quelle scene, quelle città venivano distrutte, ma non mi appartenevano, e io potevo solo sperare che tutto finisse, che non succedesse mai qui…

E invece la mia città, la mia Genova è ora teatro di pesanti rivolte, ospita quelle stesse scene di violenza, ragazzi coperti in volto, stanno distruggendo le vetrine dei negozi, le automobili parcheggiate e i cassonetti sono piccoli vulcani da cui escono le fiamme della rabbia…

 Non posso smettere di affogare in queste immagini, me ne sto raggomitolata sul divano, dentro di me qualcosa muore, dentro di me piango, non mi ero mai accorta di amare così tanto la mia città… sono inchiodata davanti allo schermo, e le immagini si rincorrono, si inseguono… Guardo senza parole, e poi ho riconosciuto quella piazza, dove qualche giorno prima sono andata a trovare mia nonna, quella piazza ora è il letto di morte di un ragazzo… immerso nel sangue…

Mi chiedo se queste 8 persone dormiranno tranquille… Mi chiedo se si sono rese conto che mentre stavano seduti a discutere si stavano moltiplicando i feriti… Il mondo cambierà davvero dopo questi tre giorni? Io, cittadina del mondo, mi sento solo più triste, delusa dalla situazione, dalle persone… Mi sento solo un po’ più persa, un po’ più lontana da una realtà che non riesco a comprendere…

Due disgraziate in cerca di risposte

Capita di incontrare per strada una persona che non vedi da molto tempo. Tu sei con un’amica, la pelle rosso fuoco per il troppo sole nei tuoi due unici giorni di mare, spingi la bici come fosse un mulo con le borse della spesa appese al manubrio e traboccanti dal cestino. Hai una camicia a fiori da vera hippy e così anche la tua amica. Pantaloni corti e larghi che lasciano spuntare lo slip nero, canotta grigia, un’altra bici-mulo da spingere con ancora buste gialle dell’Esselunga. Tra il caldo, la spesa e questo “abito che non fa il monaco”, l’apparenza almeno è di due disgraziate. Che incontrano un vecchio compagno di corso.

Tu cosa fai?”
“Lavoro da maggio in una multinazionale, non è la stessa di prima perché ci siamo lasciati in cattivi rapporti”
“Come mai?”
(Chiedono stupite le due disgraziate)
“Ho chiesto il doppio e non me l’hanno dato, lavoravo 18 ore al giorno. Dove lavoro adesso mi danno un sacco di soldi e quindi ho accettato”

Le due disgraziate a questo punto non fanno la domanda fondamentale: “Scusa quanto guadagni?” Ma anzi sorridono e salutano. Tornate a case, sistemata la spesa, il gelato in freezer, il succo-esperimento-ananas-lime in frigo, la cena per la sera invece resta fuori, le due disgraziate si guardano. “Forse abbiamo sbagliato tutto…”
Con ammirazione per chi può già chiedere il doppio, senza rancore né invidia, solo stupore. E la consapevolezza che fare quello che davvero è il lavoro della vita è sempre diverso. Richiede qualcosa in più.

Chiusa…

…come la porta della stanza, le due metà di una noce, come un barattolo di sugo pronto, come una scatola che raccoglie vecchie foto, lettere e bigliettini. Chiusa come l’ultimo cassetto della scrivania, come i negozi in città ad agosto, come una scatola di biscotti che non si vuole aprire per non mangiarli tutti. Chiusa come il cinema d’estate, come la piscina in inverno. Con un dito appoggiato sulle labbra si può chiedere il silenzio, lo si può chiedere anche a se stessi, ma le cose da dire rimangono. E allora bisogna solo aprire il barattolo, togliere il coperchio alla scatola. E’ difficile, perché è tutto sigillato, forse basterà un buchino sul fondo per far scorrere granelli di pensieri.

Guarda come corre

Eppure ci sono momenti in cui pensi non sia necessario avere il controllo su tutto. In cui credi di poter essere meno esigente, di poter lasciar correre. Poi le cose però scorrono davvero e forse bisognerebbe impegnarsi a osservarle con più attenzione. Ci sono momenti in cui non pensi a quello che ti circonda, e se anche ti poni delle domande, inspiegabilmente le lasci senza risposta e non te ne preoccupi. Però prima o poi dovrai chiedere una pausa, prenderti una giornata intera e decidere cosa fare davvero, del tuo tempo e di tutte quelle domande che hai messo da parte.


I BRUSCHI DETTAGLI

Raccontare, vedere poi ascoltare e scrivere. Leggere, chiedere, curiosare. E una pagina bianca per dirlo a qualcuno. Non il Tutto, solo qualche dettaglio

SUL COMODINO

Paul Auster, un po' di Pamuk, Erri De Luca

ULTIME LETTURE

Un uso qualunque di te (Sara Rattaro)

Twitter factor (Augusto Valeriani)

La vita è altrove (Milan Kundera)

1Q84 (Haruki Murakami)

Zita (Enrico Deaglio)

L'animale morente (Philip Roth)

Così è la vita (Concita de Gregorio)

I pesci non chiudono gli occhi (Erri De Luca)

Cattedrale (Raymond Carver)

Lamento di Portonoy (Philip Roth)

Libertà (Jonathan Franzen)

Il dio del massacro (Yasmina Reza)

L'uomo che cade (Don De Lillo)

Il condominio (James G. Ballard)

Sunset limited (Cormac McCarthy)

I racconti della maturità (Anton Cechov)

Basket & Zen (Phil Jackson)

Il professore di desiderio (Philip Roth)

Uomo nel buio (Paul Auster)

Indignazione (Philip Roth)

Inganno (Philip Roth)

Il buio fuori (Cormac McCarthy)

Alveare (Giuseppe Catozzella)

Il Giusto (Helene Uri)

Raccontami una storia speciale (Chitra Banerjee Divakaruni)

Cielo di sabbia (Joe R. Lansdale)

La stella di Ratner (Don DeLillo)

3096 giorni (Natascha Kampusch)

Giuliano Ravizza, dentro una vita (Roberto Alessi)

Boy (Takeshi Kitano)

La nuova vita (Orhan Pamuk)

L'arte di ascoltare i battiti del cuore (Jan-Philipp Sendker)

Il teatro di Sabbath (Philip Roth)

Sulla sedia sbagliata (Sara Rattaro)

Istanbul (Orhan Pamuk)

Fra-Intendimenti (Kaha Mohamed Aden)

Indignatevi! (Stéphane Hessel)

Il malinteso (Irène Némirovsky)

Nomi, cognomi e infami (Giulio Cavalli)

Tangenziali (Gianni Biondillo e Michele Monina)

L’Italia in seconda classe (Paolo Rumiz)

ULTIME VISIONI

Be kind rewind (Michel Gondry, 2007)

Kids return (Takeshi Kitano, 1996)

Home (Ursula Meier, 2009)

Yesterday once more (Johnnie To, 2007)

Stil life (Jia Zhang-Ke, 2006)

Cocaina (Roberto Burchielli e Mauro Parissone, 2007)

Alla luce del sole (Roberto Faenza, 2005)

Come Dio comanda (Gabriele Salvatores, 2008)

Genova, un luogo per dimenticare (Michael Winterbottom, 2010)

Miral (ulian Schnabel, 2010)

Silvio forever (Roberto Faenza, 2011)

Election (Johnnie To, 2005)

Oasis (Lee Chang-dong, 2002)

Addio mia concubina(Chen Kaige, 1993)

La nostra vita (Daniele Luchetti, 2010)

Departures (Yojiro Takita, 2008)

La pecora nera (Ascanio Celestini, 2010)

Flags of our fathers (Clint Eastwood, 2006)

L'uomo che fissa le capre (Grant Heslov, 2009)

Buongiorno Notte (Marco Bellocchio, 2003)

Vallanzasca - Gli angeli del male (Michele Placido, 2010)

Paz! (Renato De Maria, 2001)

Stato di paura (Roberto Burchielli, 2007)

Gorbaciof (Stefano Incerti, 2010)

L'esplosivo piano di Bazil (Jean-Pierre Jeunet, 2008)

Confessions (Tetsuya Nakashima, 2010)

127 ore (Danny Boyle, 2010)

Qualunquemente (Giulio Manfredonia, 2011)

American life (Sam Mendes, 2009)

Look both ways (Sarah Watt, 2005)
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