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“Ma la torre arriva in alto”? Il presidio della Wagon Lits spiegato a Sara, 3 anni

“Ma la torre arriva in alto alto”? Sara è piccolina, avrà tre anni. E’ seduta accanto a me sul treno in partenza al binario 23. Milano Centrale, verso Pavia e Voghera. Fermi al binario con qualche minuto di anticipo, c’è tempo per guardarsi attorno. Un cartello dice che per la torre bisogna andare al binario 24. La torre. La mamma di Sara le spiega con calma. “Vedi, guarda gli striscioni. Ci sono dei signori che stanno sulla torre”. La piccola prova a guardare fuori dal finestrino, ma proprio non ci riesce a vederli. “Quei signori” sono i ferrovieri della Wagon-Lits, 800 persone che rischiano il licenziamento. La torre è il loro presidio, dall’8 dicembre. I genitori di Sara parlano tra loro, a bassa voce, quasi per non farsi sentire dalla bambina aggrappata al finestrino: hanno una conoscente tra gli 800 lavoratori, ha perso il posto, niente più lavoro. Non si può partire o arrivare a Milano Centrale senza pensare a loro. Fino a un mese fa era rimasto lassù anche Giuseppe Gison, pavese, sospeso nell’incertezza del futuro e su quel traliccio traballante per 45 giorni e 45 notti. “Mamma, ma dove abitano questi signori”? E’ ancora Sara a chiederlo. Le passano davanti, attraverso il vetro del finestrino, le tende del presidio. E lei proprio non riesce a immaginarli questi papà che stanno su una torre. La risposta che lì ci dormono non la soddisfa tanto, ma poi il pensiero passa. I treni fischiano quando si passa accanto al presidio. Lo sguardo cade sugli striscioni, lungo le pareti della stazione, all’interno e all’esterno. Non si può viaggiare sui treni, scendere e salire nella grigia Milano senza pensare a chi lì urla la sua difesa per il lavoro.

Odore di marcio

Un odore terribile. Appena entro nello scompartimento mi sembra cavolfiore. Poi capisco che invece viene dal gabinetto. La porta non si chiude, nemmeno quella del vagone e l’odore è di quelli penetranti. Nemmeno tenere la sciarpa sul naso lo allontana. Dopo un’ora quasi sei persino abituato a non poter respirare. Tranne avere poi la sensazione di tornare libero appena scendi sul binario. Sono su un intercity (1538 Genova-Milano, scendo a Pavia). E’ in ritardo. “Da dove parte la coincidenza per Mestre?” Chiede il capotreno al telefono. “Ok, binario 9, guarda che noi siamo in ritardo. Sì, siamo il 1538, siamo in ritardo, ma questa coincidenza dobbiamo fargliela prendere, ho un sacco di gente che deve prendere quel treno, è l’ultimo della sera. Dobbiamo… Ok, grazie”. Li aspettano. A Milano aspetteranno questo treno prima di far partire la coincidenza per Mestre. Mentre sento questa conversazione c’è sempre questo odore, così forte. E sto leggendo Sandokan di Nanni Balestrini. Descrive la scena in cui questo ragazzo è con il suo camion in coda al macero per buttare via la frutta di troppo, e aspetta lì giorni perché prima di lui devono passare i camion che invece di pesche e melanzane fanno interrare ferro, e tutto lo schifo che devono nascondere. E mentre questo ragazzo è lì che aspetta sente questo odore di marcio. La frutta, certo. Ma anche il mondo. E io sento questo stesso odore. Penso che le due cose non possono non essere collegate. Penso che viviamo in un paese dove è ancora possibile fare viaggi in treni in condizioni pessime, dove nessuno dice niente, dove ti fanno un favore se non ti fanno perdere una coincidenza, dove si viaggia ammassati, in ritardo, immersi in condizioni igieniche terribili. Mentre sento l’odore di quel gabinetto aperto e mentre avverto l’odore del marcio provenire dal libro non posso fare a meno di pensare che in Italia accettiamo di vivere a queste condizioni. Una resa.

L’Italia in uno scompartimento

Domenica, 20 dicembre. Pavia-Genova. Al mattino non ricordo nemmeno il ritardo del mio treno, ne ho preso uno di qualche ora prima, arrivato finalmente a destinazione. E il ritorno… Prendo il treno delle 18.19 da Genova Principe. In orario. Però poi si ferma poco dopo Arquata Scrivia. “C’è un guasto alla linea, non sappiamo dire fra quanto il treno potrà ripartire”. La voce del capotreno – donna – getta nel panico una signora di Brescia, in corridoio, con il suo cane al guinzaglio. Si affaccia allo scompartimento: “Giuro che non prenderò mai più un treno in vita mia”. Avrà una cinquantina d’anni, forse qualcosina di meno. Magra, curata, vestiti stile leopardato. Ci racconta la sua disavventura tra Brescia e La Spezia, i ritardi, i treni annullati, i pullman sostitutivi, l’ultimo tratto a piedi. E’ eccessiva, direi esuberante. Le dà corda un passeggero seduto alla mia sinistra. E poi uno dopo l’altro anche gli altri si uniscono alle chiacchiere, in attesa di sentir ripartire il treno. Non proprio tutti, però. Io mi limito ad ascoltare, lo preferisco. Alla mia destra un signore sta studiando parole in cinese: sono divise in due colonne, cinese da una parte inglese dall’altra. Non stacca mai gli occhi da quel foglio e mentalmente impara a memoria verbi e aggettivi. Di fronte a me una ragazza giovane, il volto gelminiano (occhialini azzurri, capelli corti) mangia un panino e paziente e disponbile chiama la madre per farle cercare le coincidenze da Milano per Brescia per tranquillizzare la signora-col-cane che proprio non si dà pace. Sempre di fronte a me, alla destra e alla sinistra della ragazza, ci sono una donna che gioca con il cane della signora-col-cane, e che racconta le sue disavventure (questa volta settimanali) dei tanti viaggi pavesi-liguri. E c’è un signore, i modi antichi, che avverte casa del ritardo. E parla volentieri, diffondendo nello scompartimento complimenti alle signore. E non manca di condividere aneddoti della sua vita (è professore, da giovane ha insegnato in America, sei mesi in cui si è sentito davvero solo e lontano, fino all’incontro con una altrettanto giovane irlandese). Il treno riparte. Si parla dei disagi per ghiaccio e neve di questi giorni. Il Professore ha una proposta: “Bisognerebbe mettere delle resistenze sotto le strade – dice – così la neve potrebbe sciogliersi subito”. Però, aggiunge, costa troppo. E poi, penso io, bisognerebbe sventrare le strade… Non ricordo con quale collegamento i miei compagni di scompartimento finiscono a parlare di crisi. “E’ colpa di Prodi – dice il Professore – e dei suoi 9 fratelli, perché è lui che ha sbagliato il cambio dell’euro”. Interviene il signore alla mia sinistra. E’ calabrese, fa l’operaio. E racconta di quando appena arrivato l’Euro, era andato a vedere Padre Pio. “Ero nel parcheggio, e il custode mi dice 3 euro. E io gli dico, ma scusi è impossibile, l’estate scorsa erano tremila lire. E il custode risponde: sì infatti è uguale”. La stazione di Pavia si avvicina, mi preparo per scendere. Ci salutiamo tutti, ci si augura buon viaggio, buon Natale. Il viaggio è durato quasi due ore, invece di una. Ho finito Cosmopolis di De Lillo, ho visto uno spaccato di Italia. Perfetto.


I BRUSCHI DETTAGLI

Raccontare, vedere poi ascoltare e scrivere. Leggere, chiedere, curiosare. E una pagina bianca per dirlo a qualcuno. Non il Tutto, solo qualche dettaglio

SUL COMODINO

Paul Auster, un po' di Pamuk, Erri De Luca

ULTIME LETTURE

Un uso qualunque di te (Sara Rattaro)

Twitter factor (Augusto Valeriani)

La vita è altrove (Milan Kundera)

1Q84 (Haruki Murakami)

Zita (Enrico Deaglio)

L'animale morente (Philip Roth)

Così è la vita (Concita de Gregorio)

I pesci non chiudono gli occhi (Erri De Luca)

Cattedrale (Raymond Carver)

Lamento di Portonoy (Philip Roth)

Libertà (Jonathan Franzen)

Il dio del massacro (Yasmina Reza)

L'uomo che cade (Don De Lillo)

Il condominio (James G. Ballard)

Sunset limited (Cormac McCarthy)

I racconti della maturità (Anton Cechov)

Basket & Zen (Phil Jackson)

Il professore di desiderio (Philip Roth)

Uomo nel buio (Paul Auster)

Indignazione (Philip Roth)

Inganno (Philip Roth)

Il buio fuori (Cormac McCarthy)

Alveare (Giuseppe Catozzella)

Il Giusto (Helene Uri)

Raccontami una storia speciale (Chitra Banerjee Divakaruni)

Cielo di sabbia (Joe R. Lansdale)

La stella di Ratner (Don DeLillo)

3096 giorni (Natascha Kampusch)

Giuliano Ravizza, dentro una vita (Roberto Alessi)

Boy (Takeshi Kitano)

La nuova vita (Orhan Pamuk)

L'arte di ascoltare i battiti del cuore (Jan-Philipp Sendker)

Il teatro di Sabbath (Philip Roth)

Sulla sedia sbagliata (Sara Rattaro)

Istanbul (Orhan Pamuk)

Fra-Intendimenti (Kaha Mohamed Aden)

Indignatevi! (Stéphane Hessel)

Il malinteso (Irène Némirovsky)

Nomi, cognomi e infami (Giulio Cavalli)

Tangenziali (Gianni Biondillo e Michele Monina)

L’Italia in seconda classe (Paolo Rumiz)

ULTIME VISIONI

Be kind rewind (Michel Gondry, 2007)

Kids return (Takeshi Kitano, 1996)

Home (Ursula Meier, 2009)

Yesterday once more (Johnnie To, 2007)

Stil life (Jia Zhang-Ke, 2006)

Cocaina (Roberto Burchielli e Mauro Parissone, 2007)

Alla luce del sole (Roberto Faenza, 2005)

Come Dio comanda (Gabriele Salvatores, 2008)

Genova, un luogo per dimenticare (Michael Winterbottom, 2010)

Miral (ulian Schnabel, 2010)

Silvio forever (Roberto Faenza, 2011)

Election (Johnnie To, 2005)

Oasis (Lee Chang-dong, 2002)

Addio mia concubina(Chen Kaige, 1993)

La nostra vita (Daniele Luchetti, 2010)

Departures (Yojiro Takita, 2008)

La pecora nera (Ascanio Celestini, 2010)

Flags of our fathers (Clint Eastwood, 2006)

L'uomo che fissa le capre (Grant Heslov, 2009)

Buongiorno Notte (Marco Bellocchio, 2003)

Vallanzasca - Gli angeli del male (Michele Placido, 2010)

Paz! (Renato De Maria, 2001)

Stato di paura (Roberto Burchielli, 2007)

Gorbaciof (Stefano Incerti, 2010)

L'esplosivo piano di Bazil (Jean-Pierre Jeunet, 2008)

Confessions (Tetsuya Nakashima, 2010)

127 ore (Danny Boyle, 2010)

Qualunquemente (Giulio Manfredonia, 2011)

American life (Sam Mendes, 2009)

Look both ways (Sarah Watt, 2005)
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