Archivio per febbraio 2011

Gratto-e-vinco in Posta

Salgo i gradini del palazzo delle poste centrali di Pavia, entro nell’atrio per prelevare e vedo questa grossa macchinetta giallo-posta. Subito penso a un nuovo self service, e invece. Invece è un distributore automatico di Gratta e Vinci. Se ne possono scegliere 12 diversi tipi dai 5 euro in su. Penso subito che anche il Gratta e Vinci è uno di quei giochi che succhia soldi alle persone. Meno delle macchinette, meno delle scommesse. Ma mi sono immaginata i pensionati, che appena ritirati i soldi, tentano la fortuna con un biglietto argentato da grattare. O chi usa il resto della bolletta per tentare un raddoppio. Va bene l’Era delle macchinette, da quelle per la pizza (ora anche in università) a quelle che distribuiscono fiori (vedi aeroporto di Orio al Serio) o a quelle legate alle farmacie. Ma i Gratta e Vinci in posta mi sembra un po’ esagerato. No?

Indignatevi! Almeno una volta al giorno

“Il mio augurio a tutti voi, a ciascuno di voi, è che abbiate un motivo per indignarvi. E’ fondamentale. Quando qualcosa ci indigna come a me ha indignato il nazismo, allora diventiamo militanti, forti e impegnati. Abbracciamo un’evoluzione storica e il grande corso della storia continua grazie a ciascuno di noi. Ed è un corso orientato verso una maggiore giustizia, una maggiore libertà, ma non la libertà incontrollata della volpe nel pollaio. Questi diritti, promulgati nella Dichiarazione nel 1948, sono universali. Se incontrate qualcuno che non ne beneficia abbiatene pietà, aiutatelo a conquistarli”.

“Ai giovani io dico: cercate e troverete. L’indifferenza è il peggiore di tutti gli atteggiamenti, dire “io che ci posso fare, mi arrangio”. Comportandoci in questo modo, perdiamo una delle componenti essenziali dell’umano. Una delle sue qualità indispensabili: la capacità di indignarsi e l’impegno che ne consegue”.

(Stéphane Hessel, Indignez-Vous!)

Stéphane Hessel (nella foto) ha 93 anni, ha combattuto nella Resistenza francese, ha lavorato alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. Si rivolge ai giovani nel suo Indignez-vous!, ma anche a chi ha bisogno di una scossa, di non essere indifferente. Penso a chi guarda davanti a sé nel vuoto, le spalle appoggiate a un comodo divano, e preferisce cullarsi nel tempo che passa piuttosto che muoversi. Penso a chi deve tornare a fare domande, gli studenti che vedono cadere i pezzi dai soffitti delle loro scuole e devono, hanno l’obbligo e il diritto, di chiedere spiegazioni. Penso a chi guarda e passa avanti. A chi vede e non denuncia, a chi si gira persino dall’altra parte. Penso a chi non alza la mano, a chi non ha voglia di farsi avanti, a chi ha paura di perdere tempo e delega. E lascia che siano gli altri a pensare, agire, fare, scrivere, domandare. Bisogna indignarsi per cose grandi e piccole, almeno una volta al giorno, per essere uomini e donne consapevoli, per non morire ogni volta un po’. Quello di Hessel è un appello a non mollare. Certo, lo spiega anche lui, “le ragioni per indignarsi sembrano meno nette, o il mondo troppo complesso”. Ma la reazione non può essere l’indifferenza.

Via Canneto il Lungo perde la sua identità

Via Canneto il Lungo è la strada della spesa, dei fruttivendoli, del pesce fresco. Lunga e stretta, tante vetrine, vecchie botteghe dai profumi antichi e i colori accesi dei nuovi genovesi. E’ una strada fatta di pietre, rigate, scalfite. Da mesi il cantiere è aperto, si apre, si chiude, si sposta. Tubi da cambiare. E a vederli smontati, aperti, rotti vien da dire “meno male”. Però c’è qualcosa che non fa stare tranquilli chi ci vive. Vado a Genova la domenica, nemmeno tutte. Un giorno ho trovato i tubi del gas che passavano in alto all’altezza del portone di casa mia. Provvisori. Un altro giorno non ho trovato più le pietre, solo voragini. Provvisorie. Poi è arrivata la sabbia, dopo ancora l’asfalto. Provvisorio. Solo a tratti, solo in alcuni punti. Un rattoppo. Provvisorio anche questo. Io voglio crederci. Voglio credere che finiti i lavori le pietre torneranno al loro posto. Voglio credere che non ci vorranno anni. Ma ricordo bene stradone Sant’Agostino. Pieno centro storico, sede della facoltà di architettura. Lì per non rovinare la pavimentazione durante alcuni lavori avevano steso una copertura di plastica e poi una colata di cemento. Ci è rimasta anni. Anche a cantiere chiuso da tempo. Le fotografie ci sono, le date anche, non si può scherzare. Le lascio grandi apposta queste immagini. In alto si vede piazzetta dell’Amico, un pezzo di asfalto, le poche pietre rimaste, cemento. E poi una delle tante passerelle che scandiscono via Canneto il Lungo. Questo è una specie di nodo al fazzoletto. Perché adesso una delle più tradizionali strade del centro storico di Genova ha perso la sua identità e bisognerà essere capaci di restituirgliela.

Eurospar come la fenice

Come la fenice risorge dalle ceneri noi torneremo più forti di prima“. Vedo questo messaggio su Facebook, tra i link sponsorizzati. L’autore è il supermercato Eurospar di Pavia. E’ un gruppo creato di recente quello di Facebook, ha solo undici amici, nessun messaggio in bacheca. A parte questo “torneremo più forti” scritto in maiuscolo. Quasi una settimana fa un incendio ha distrutto il magazzino del market di via Fratelli Cervi nel quartiere ad ovest di Pavia. Tutta la merca da buttare e quell’odore acre nell’aria. L’ennesimo cortocircuito, dicono. Ora però vedo questo messaggio su Facebook e il cortocircuito mi convince sempre meno. L’Eurospar tornerà più forte di prima, dopo una vetrina spaccata, dopo il furto della cassaforte a inizio gennaio e ora dopo l’incendio che lo obbliga a tenere chiuso per un mese? A chi si rivolge il messaggio? Alle anziane clienti dell’Eurospar al quartiere Pelizza? Agli operai che andavano al reparto salumi per i panini del pranzo? Agli studenti delle residenze universitarie? Alle tante famiglie che hanno solo quel supermercato come riferimento a Pavia Ovest? Oppure si rivolge a chi ha preso di mira l’Eurospar? Una buona scelta comunicativa quella del gruppo olandese Despar: su Facebook (ripeto, undici utenti registrati come amici) ricorda che i punti Sempremi si possono accumulare nell’altro market cittadino e che sul sociale network si può seguire l’andamento dei lavori. Per un cortocircuito c’è bisogno di tante rassicurazioni alla clientela? Forse c’è qualcosa di più, ma guai a nominare le parole “incendio doloso”.

Obbligano al test di italiano, ma cancellano la libertà

Gasmi a Casablanca era un fotografo, adesso fa il magazziniere. Vive a Confienza, 60 chilometri da Pavia, 1700 abitanti, con sua moglie Messoudi e il piccolo Ryan (nella foto lei lo tiene in braccio tra i banchi). Gli chiedo quando hanno deciso di venire in Italia, perché. Gasmi non ci pensa molto: “E’ stato uno sbaglio”. Perché adesso per poter diventare italiano gli fanno fare un test. E perché non ha la libertà di essere quello che era nel suo Marocco. “Adesso possiamo dire solo sì signora”. Me lo dice Ludmilla, 53 anni, ucraina. Fa la badante, in una famiglia che ha adottato lei e suo marito da undici anni, questo la rende felice, sa che sta bene. Però in Ucraina lei era una professoressa di ucraino e lui di ginnastica. Poi un giorno quando Russia e Ucraina hanno preso strade diverse il suo stipendio si è perso nel nulla. Invece di soldi le hanno dato un sacco di farina e una cassa di vodka. Impossibile con questi far studiare all’università di ingegneria e di legge i suoi figli. Così sono partiti. Le chiedo se i suoi ragazzi la raggiungeranno. Le viene da piangere. “Mio marito non vuole. Dice che ci siamo già noi a doverci accontentare, a doverci preoccupare dello stipendio senza poter fare il lavoro di prima”. Così penso che lo Stato chiede ai suoi cittadini stranieri di fare un test per dimostrare che conoscono abbastanza bene l’italiano, lo fa con una prova che si basa su un livello di italiano definito “di sopravvivenza” perché richiede conoscenze base, utili per cavarsela nel quotidiano. Però è lo stesso Stato che non riesce a trovare un sistema per riconoscere la professionalità di chi lascia la sua casa e cerca un’altra vita in Italia. “Vedevo nei modi di chi tornava quell’atteggiamento di chi ha visto che si può fare un’altra vita, pensavo di trovare l’America”. Parshotam ha cercato la sua America in Italia. Ha lasciato l’India a 21 anni. Mi racconta che nessuno nella sua famiglia aveva mai abbandonato il Punjab. Lui invece lo ha fatto. Ha portato con sé Jeetpal (nella foto loro due insieme al figlio Om), sua moglie e il loro primo figlio Shivam, che adesso ha 14 anni. In Italia è nato Om, che adesso ha due anni e che ha pianto per tutta la durata del test, tra le braccia dei ragazzi del liceo artistico Volta che si sono improvvisati baby sitter per permettere alle mamme e ai papà che non sapevano a chi lasciare i bambini di poter svolgere la loro prova. Parshotam mi racconta che quello con Jeetpal è stato un matrimonio combinato, ma sottolinea che sono felici. Lei sorride dolce, avvolta in un abito rosa. Non dice nulla. Lui è anche la sua voce. In alcuni ho visto nostalgia, in altri serenità. Tra le 35 persone presenti al test di Pavia ho visto la tranquillità dei giovani, la paura degli anziani. E non dipende sempre da quello che hanno lasciato né da quello che hanno trovato. Penso a Ludmilla e a Yevheniy. Sono entrati in una scuola per rispondere alle domande di un esame. Loro che per 25 anni in Ucraina hanno insegnato sono dovuti tornare tra i banchi, entrare in una scuola sapendo che non sarà mai più la stessa cosa.

Ore 11, 5600 passi e l’aria gelida sulla fronte

Stamattina sono andata a correre. Un evento. Ho sempre preferito mettere i rollerblade nello zaino, arrivare in bici al punto di inizio e da lì, cambio di scarpe al volo, scivolare liscia sulle ruote in miniatura. Stamattina no. Ho aspettato sotto il piumone il tempo giusto per alzarmi, quando ho visto il cielo passare da bianco ad azzurro, ho allontanato la fame, lo scazzo già a inizio giornata, e sono uscita. Ore 11 il contapassi dell’iPod ha iniziato la sua conta. Ho iniziato a correre subito, appena uscita dal cancello, sono stata fuori 45 minuti. Mi sono dovuta fermare più di una volta, per ricordarmi di respirare, per rilassare le gambe non più abituate. La strada si incastra tra le case, una curva, due scuole in lontananza, e il Ticino. Il sole, l’aria gelida. Mi guardo, guardo gli altri (tanti) e capisco di non avere l’abbigliamento adatto. Non ho la giacchina a vento, né i guanti, nemmeno la fascia per tenere calda la fronte. Ecco, non ho nemmeno un fazzoletto per soffiarmi il naso. Ogni tanto cammino, non posso farne a meno. Faccio fatica, ma ricordo a me stessa che sono uscita per questo, per avere minuti senza pensieri, troppo impegnata a restare in piedi. Ticinello ha una pista ciclabile e la passeggiata in porfido, lungo tutta via don Enzo Boschetti. Vedi il centro di Pavia lontano, il ponte della ferrovia. Poi si scende, il prato, il fiume, gli alberi. Sedie e panchine. Un cane mi insegue, guardo la padrona che non fa niente, mi passano sulla lingua un sacco di insulti, ma ho Lifegate nelle orecchie e questo mi tiene tranquilla. La pelle ghiacciata, il sudore. La musica e il rumore dei passi, capisco di essere pesante. Saranno 5600 i passi, arrotondando, al rientro a casa. Il contapassi resta un mistero. Ora le gambe fanno male. Chissà domani mattina.


I BRUSCHI DETTAGLI

Raccontare, vedere poi ascoltare e scrivere. Leggere, chiedere, curiosare. E una pagina bianca per dirlo a qualcuno. Non il Tutto, solo qualche dettaglio

SUL COMODINO

Paul Auster, un po' di Pamuk, Erri De Luca

ULTIME LETTURE

Un uso qualunque di te (Sara Rattaro)

Twitter factor (Augusto Valeriani)

La vita è altrove (Milan Kundera)

1Q84 (Haruki Murakami)

Zita (Enrico Deaglio)

L'animale morente (Philip Roth)

Così è la vita (Concita de Gregorio)

I pesci non chiudono gli occhi (Erri De Luca)

Cattedrale (Raymond Carver)

Lamento di Portonoy (Philip Roth)

Libertà (Jonathan Franzen)

Il dio del massacro (Yasmina Reza)

L'uomo che cade (Don De Lillo)

Il condominio (James G. Ballard)

Sunset limited (Cormac McCarthy)

I racconti della maturità (Anton Cechov)

Basket & Zen (Phil Jackson)

Il professore di desiderio (Philip Roth)

Uomo nel buio (Paul Auster)

Indignazione (Philip Roth)

Inganno (Philip Roth)

Il buio fuori (Cormac McCarthy)

Alveare (Giuseppe Catozzella)

Il Giusto (Helene Uri)

Raccontami una storia speciale (Chitra Banerjee Divakaruni)

Cielo di sabbia (Joe R. Lansdale)

La stella di Ratner (Don DeLillo)

3096 giorni (Natascha Kampusch)

Giuliano Ravizza, dentro una vita (Roberto Alessi)

Boy (Takeshi Kitano)

La nuova vita (Orhan Pamuk)

L'arte di ascoltare i battiti del cuore (Jan-Philipp Sendker)

Il teatro di Sabbath (Philip Roth)

Sulla sedia sbagliata (Sara Rattaro)

Istanbul (Orhan Pamuk)

Fra-Intendimenti (Kaha Mohamed Aden)

Indignatevi! (Stéphane Hessel)

Il malinteso (Irène Némirovsky)

Nomi, cognomi e infami (Giulio Cavalli)

Tangenziali (Gianni Biondillo e Michele Monina)

L’Italia in seconda classe (Paolo Rumiz)

ULTIME VISIONI

Be kind rewind (Michel Gondry, 2007)

Kids return (Takeshi Kitano, 1996)

Home (Ursula Meier, 2009)

Yesterday once more (Johnnie To, 2007)

Stil life (Jia Zhang-Ke, 2006)

Cocaina (Roberto Burchielli e Mauro Parissone, 2007)

Alla luce del sole (Roberto Faenza, 2005)

Come Dio comanda (Gabriele Salvatores, 2008)

Genova, un luogo per dimenticare (Michael Winterbottom, 2010)

Miral (ulian Schnabel, 2010)

Silvio forever (Roberto Faenza, 2011)

Election (Johnnie To, 2005)

Oasis (Lee Chang-dong, 2002)

Addio mia concubina(Chen Kaige, 1993)

La nostra vita (Daniele Luchetti, 2010)

Departures (Yojiro Takita, 2008)

La pecora nera (Ascanio Celestini, 2010)

Flags of our fathers (Clint Eastwood, 2006)

L'uomo che fissa le capre (Grant Heslov, 2009)

Buongiorno Notte (Marco Bellocchio, 2003)

Vallanzasca - Gli angeli del male (Michele Placido, 2010)

Paz! (Renato De Maria, 2001)

Stato di paura (Roberto Burchielli, 2007)

Gorbaciof (Stefano Incerti, 2010)

L'esplosivo piano di Bazil (Jean-Pierre Jeunet, 2008)

Confessions (Tetsuya Nakashima, 2010)

127 ore (Danny Boyle, 2010)

Qualunquemente (Giulio Manfredonia, 2011)

American life (Sam Mendes, 2009)

Look both ways (Sarah Watt, 2005)
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