Amore. Ecco come si racconta l’amore senza cadere nella trappola del melenso. Ecco come se ne racconta anche l’aspetto più feroce, senza cadere nel sentimentalismo. Senza dialoghi melensi, senza scene di sesso, senza usare stereotipi. Ci sono “bambole”, marionette comandate dallo stregone Amore, in balia dell’altro, delle scelte della vita. I ragazzi incatenati scandiscono il cammino tra le altre storie, le incontrano e le sfiorano. Ho visto Dolls di Takeshi Kitano in lingua originale ma sottotitolato in francese, una lingua che chiama i due ragazzi les mendiants enchainés. Se la traduzione “mendicante” è precisa e corretta dal giapponese che purtroppo non conosco, è una scelta che rispecchia il loro stato. Vagano mendicando la vita, il perdono, cercando la ragione perduta, cercando un ricordo che possa far riaccendere il sorriso, anch’esso perduto. Con quella corda rossa che trascina foglie secche, ma lascia ben radicati i fiori. E’ una corda che unisce perché è così l’amore o forse è il senso di colpo che si maschera da amore e unisce per forza?
Poi ci sono le altre storie. La donna che ha aspettato una vita, seduta su una panchina, il ritorno del suo giovane fidanzato. Lui torna, anziano, sedotto dal ricordo di lei, dopo anni che nemmeno più pensava a quel “ti aspetterò per sempre”. E ancora la cantante e il suo fan che diventa cieco apposta per lei. Non c’è un lieto fine in nessuno di questi amori. Non c’è speranza di vita insieme. Non c’è niente di duraturo, felice, spensierato. Ma non c’è in nessun momento l’intento di strappare lacrime.
E’ bello per questo. C’è l’amore raccontato, l’amore nei suoi momenti felici e nella disperazione, con parole che sono i colori dei fiori, i silenzi, i dettagli, gli occhi, persi nel ricordo o persi nell’altro.
La scena della panchina mi ha fatto pensare subito a Bad Guy di Kim Ki Duk. Il film del regista coreano è del 2001, Dolls è del 2002. Non so se Kitano si è ispirato a Kim Ki Duk, non so se c’è un richiamo volontario. Però quelle due panchine mi sono sembrate subito vicine. Un parco a fare da sfondo, lo sguardo di lei, più perso nell’amore e quello di lui, più duro. Aspettano. Aspettano l’amore, aspettano che succeda qualcosa per essere tolti di mezzo. Il golfino chiaro su un abito colorato, i capelli pettinati, sono due brave innamorate. Che aspettano la vita sedute su una panchina.
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Dolls, ecco l’Amore
Published settembre 27, 2008 Film 1 CommentTag:amore, bad guy, cinema giapponese, dolls, Film, kim ki duk, kitano
Bad Guy
Published Maggio 19, 2008 Film Leave a CommentTag:bad guy, cinema coreano, etta scollo, Film, kim ki duk
PAVIA Che è un “cattivo ragazzo” lo intuisci dagli abiti trasandati, dall’espressione assente, dal taglio alla gola. Inizia tutto su una panchina in un parco. Sun-Wha ha un vestito a pois azzurro, un golfino bianco, aspetta il suo ragazzo. Ma il Bad guy, Han-Gi, si siede al suo fianco, poi la bacia con la forza, lei pretende le sue scuse. Gli sputa addosso, la polizia lo picchia. Inizia così una sorta di vendetta-desiderio. Sun-Wha sarà obbligata a prostituirsi. Lui la guarderà piangere con il suo primo cliente, la vedrà dimenarsi per sottrarsi a un destino non suo. Eppure quel mondo le entrerà dentro fino a diventare una scelta volontaria. Come in altri film di Kim Ki-Duk ci sono alcune scene che colpiscono, fino a lasciare senza fiato.
Bella la scena del vetro-specchio. Lei indossa una parrucca rosa, mette il rossetto davanti allo specchio mentre lui dall’altra parte la guarda… La testa di lei si appoggia al vetro, quei gesti così automatici per farsi bella per i clienti la tormentano. Anche lui si appoggia . Le loro guance combaciano, sono vicini ma non lo sanno, eppure il viso prende la forma di chi riceve conforto dalla vicinanza dell’altro. Strano vedere lui che si prende cura di lei regalandole un libro di Schiele, aggiustando l’appendiabiti, allontanando un cliente fastidioso, eppure è proprio lui che la tiene legata a quel mondo.
A stupire in Bad Guy è anche l’uso del suono. La musica innanzitutto. Stupisce sentire una canzone italiana. La voce di Etta Scollo, siciliana, canta sottile le parole dei Tuoi fiori (tratta dall’album “Blu” del 1999). Poi la voce di Han-Gi, strozzata e quasi femminile per colpa di quel taglio alla gola. Solo alla fine parla, solo una volta. E solo dopo la violenza, per non sminuire quel suo essere per forza cattivo.
Sempre particolare l’uso delle fotografie di Kim-Ki-Duk. Lei ritrova sulla spiaggia una foto strappata a cui mancano solo i volti dei due innamorati, come il pezzo mancante di un puzzle. Ricostruite le appende allo specchio e il suo viso va a riempire quel vuoto, e si alterna a quello di lui che dall’altra parte si sostitusce ai volti. Sulla spiaggia quella fotografia torna a prendere vita, lui è lo stesso, lei cerca di assomigliare all’altra. Uguali gli abiti, diversi i destini. Poi le loro vite riprendono. E’ lei, nonostante tutto, a decidere di cercarlo ancora dopo che lui le aveva restituito la libertà proprio su quella panchina dove tutto è iniziato. Le loro vite riprendono, ma il percorso è difficile da capire. Quel nuovo mondo le resta cucito addosso, non con rassegnazione, non più con disgusto. Solo come l’elemento che li unisce, impossibile tornare alla vita di prima, la ragazza acqua e sapone e il cattivo non potrebbero dormire nello stesso sporco letto.