Archivio per gennaio 2011

Meno 8 ore al click day

Tra 8 ore scatta il primo click day. Dalle 8 in punto di domani mattina, lunedì 31 gennaio, i cittadini stranieri potranno presentare la domanda per regolarizzare il proprio lavoro. Solo on line, solo davanti a un computer, solo domani, solo dalle 8. L’orario è fondamentale. Questa è una gara a chi “clicca” per primo. E’ una gara per aggiudicarsi qualcosa come 98mila posti di lavoro. Perché si terrà conto – nel valutare le richieste –  dell’ora di invio. Dicono che a lavorare in nero però ci siamo almeno 500mila persone. Che forse domani mattina punteranno la sveglia, accenderanno il computer, apriranno il sito del Ministero dell’Interno e guarderanno con ansia all’orologio appeso alla parete. Pronti al click. Potrebbe essere una scena perfetta. Ma mi guardo attorno e non capisco. Penso ai miei vicini di casa genovesi, che schiacciati vivono in sei o sette in pochi metri quadri. Non hanno un computer. Penso al ragazzo senegalese che ogni tanto incontro per le scale. Vede suoi figlio uno volta all’anno, con il lavoro si arrangia. E non ha un computer. Penso agli operai, a chi si sveglia all’alba e cerca lavoro. Non hanno un computer. Sì, ci sono i patronati, i sindacati che si mettono a disposizione. Ma continuo a pensare che il click day sia solo un modo per dire che siamo abbastanza tecnologici, che evitiamo alle persone lunghe code davanti agli uffici, che risparmiamo carta, tempo. Senza pensare che a quei numerini scritti in basso a destra sullo schermo del computer corrisponde il futuro di molte persone. E penso alle donne, spesso in Italia per pochi mesi all’anno. Aggrappate ai secondi di un giorno dal nome americanizzato. In provincia di Pavia per almeno mille stranieri ci sarà la possibilità di svegliarsi al mattino senza la preoccupazione di un lavoro che non ha garanzie, di sicurezza, di soldi, del domani. Ma tutto dipende da un click.

L’autobus delle donne di servizio

Il 15 e il 42 sono gli autobus delle donne di servizio. Me lo dice mia mamma, siamo sedute proprio sul 15, al capolinea in piazza Dante, Genova. Io e la zia la ascoltiamo, un sorriso velato. Invece ha ragione. Dobbiamo ragionare un po’ per luoghi comuni, ma ci accorgiamo che nel giro di pochi minuti sull’autobus salgono solo donne. La maggior parte di origine sudamericana. Si conoscono, si salutano, si raccontano. Sono le 8 e sempre mia mamma ci spiega la storia sociale di queste due linee. Il 15 e il 42, con percorsi diversi, puntano entrambe verso Albaro, il quartiere delle ville, “di gente che sta bene”, gente che ha “la donna di servizio”. E il ragionamento fila. Al rientro, lasciata la linea delle badanti di lusso, saliamo sul 20, che va verso Sampierdarena. Tutto il contrario di Albaro, che porta un nome arabo Al-bar, al mare. E’ pieno, poi si svuota in via XX settembre, alla fermata davanti al Mercato Orientale. Scende anche un signore. Lascia il posto (più comodo ma sempre in piedi a mia zia). Ci sente parlare del pranzo, piadine formaggio e prosciutto. “Quasi quasi mi aggiungo anch’io”, dice ridendo. “Non è un gran pasto”, rispondiamo noi. “Ma sa cosa mi piace mangiare? – dice lui proprio prima di scendere – pane olio e zucchero, non sale”. La merenda di una volta. Anche questo ragionamento fila.

Incrociando la Blat Family Tribu

Scendo dal treno. Ha piovuto, ma non piove più. Quando arrivo a Genova e non trovo subito il sole mi infastidisco, come se mi portassi dietro un filo di grigiore, contagioso. Sono quasi le cinque del pomeriggio, attraverso la stazione, vado verso la metropolitana. Alzo lo sguardo e vedo che tra le nuvole ancora scure si apre uno spiraglio. Sorrido. Mentre scendo i gradini, tenendo stretto in mano il biglietto del metro, vedo questo furgone (vedi foto) stracarico e sporco. Ha tende scure ai finestrini, è una specie di camper. Dentro non c’è nessuno, dietro una piccola Vespa rosa. Sorrido. Vedo una scritta: Blat Family Tribu. Scatto una foto e passo oltre. Però sono curiosa e trovo soddisfazione grazie a Google. Scopro che BLAT sta per Brice, Lou, Aude e Teo, rispettivamente papà, bimba di 1 anno, mamma e bimbo di 8 anni. Sono in viaggio, stanno attraversando l’Europa diretti in Mongolia, tappa obbligata del loro percorso la Russia. Sono partiti il 10 marzo 2010 e hanno fissato la data del ritorno ad Antibes: 31 gennaio 2011. Manca poco insomma. Sul loro sito tengono un diario di viaggio (http://www.wix.com/divinoria/blat-family-tribu), spiegano come fanno studiare il piccolo Teo per non fargli perdere la scuola e raccolgono i commenti di chi li incontra e li incrocia. Da dieci mesi la loro casa è un furgone, la Francia sempre più distante, e ora quando al rientro manca davvero poco Genova segna una delle ultime tappe.

Finestrini larghi chiusi sul mondo

 L’aria è fredda, così si insegue il sole, anche in attesa al binario. Il treno scorre lento, taglia paesaggi ingrigiti dalla brina. A Creverina, frazione di Isola del Cantone, c’è ancora il presepe, sagome di legno chiaro, persino un cammello e un angelo, sospeso. Che l’aria è gelata lo senti anche nel calore odoroso dello scompartimento. Mi accompagna Tangenziali, di Biondillo e Molina, nelle orecchie la musica scelta dal dio Ipod, brani casuali, adesso c’è Tutto su Eva, Carmen  Consoli: “Giurerai di non aver colpa mentre le lacrime bagnano la tua camiacia di seta”. Penso sia una fortuna che i finestrini dei treni siano così larghi, spaziosi: aperture sul mondo vero, perché dentro, mentre attraversi tempo e spazio, è facile illudersi di poter essere altrove.

Borno, senti il calore

Prima ancora del freddo nella neve senti la luce, il calore che viene dal sole, anche se nascosto, anche se coperto dalle nuvole. Gli alberi proteggono il terreno ai loro piedi, dalla luce per dare spazio al ghiaccio, dal freddo per lasciar sbocciare poche foglie verdi. Borno, quasi 2800 abitanti arrampicato in Val Camonica, ha case di pietra e legno, stradine strette da fare di corsa in discesa per non perdere il terreno sotto i piedi. Ha tanti turisti, i più adatti alla montagna sono parte del paese, cittadini aggiunti. Altri stridono, dovrebbero essere altrove: chi pretende un negozio aperto oltre gli orari di chiusura non ha niente a che vedere con chi si sveglia all’alba per garantire i servizi a chi li vuole trovare pronti. Chi cammina avvolto in giacche e sciarpe costose non può pretendere niente dai volti di chi vive tra le montagne. L’accoglienza tutto questo lo sottolinea. Un modo per insegnare il rispetto.

Sono stata tre giorni a Borno. Un viaggio in tre tappe (in altrettante foto su http://bruschidettagli.tumblr.com) Pavia-Milano, Milano-Brescia, Brescia-Boario. L’ultimo tratto su un trenino a un vagone, gli interni verde acqua, i sedili in pelle. Accanto a me il sosia di Guccini leggeva La spia che venne dal freddo di John Le Carré. Il treno si ferma in paesi anche piccolissimi.  A Tolino un albero è cresciuto quasi dentro alla stazioncina abbandonata. La pancia del vagone si apre e lascia entrare un vecchietto con la cuffia scura a proteggere la testa. Ho accettato un consiglio e da una stazione all’altra mi sono fatta accompagnare da Paolo Rumiz e dal suo L’Italia in seconda classe. Un viaggio in treno lungo tutto il paese. Suggestiva l’unione di parole e immagini, le sue e le mie.

La famiglia di Betty a Borno apre le porte del Navertino a chi vi passa accanto a inizio o fine passeggiata, a chi in paese apprezza i piatti della tradizione, a chi li vuole scoprire. I tavoli in legno, il calore della stufa, le tovaglie rosse come le bottiglie che decorano le finestre. Sopra la trattoria ci sono le camere, ciascuna porta il nome di un fiore. Si intrecciano su per la montagna, le pareti bianche, un terrazzino e due tavolini per curiosare tra i cavalli che stazionano sull’erba ghiacciata. Mi porto dentro racconti del paese, i ricordi della famiglia, i nomi e i soprannomi dei protagonisti delle storie. I vasi lanciati a Capodanno, un giovane che diventerà prete, la chiacchierona che stordisce con parole senza fine, il compleanno di Walter, Famiglia Cristiana che suona alle 8.30 del mattino, la mostra fotografica. E poi la storia, quella della nonna di Betty che negli anni Settanta capì che quel fienile dove spesso la gente si fermava a chiedere un piatto caldo poteva diventare un ristorante, un posto dove dormire. La scommessa di uno spirito battagliero, che ha creduto in un progetto, nell’importanza dell’accoglienza. Ci ha creduto nonostante tutto e questo dà valore ad ogni angolo del Navertino. E poi i clienti: quelli fedeli, quelli insopportabili. Accolti comunque. Un sorriso per condividere. Un sorriso, più amaro, per ammonire. Perché non c’è niente di scontato.

Ricordi in una noce

Scrivevo stretto stretto, un elenco lungo racchiuso in un foglio piccolo. Ne facevo un quadratino. Poi prendevo i gusci di noci, aperti in modo da non romperli, li volevo metà perfette. Sistemavo il mio quadratino dentro la noce e la sigillavo, lasciata a riposare in un cassetto. Dentro tutto quello che era successo durante l’anno. Cose piccole, date importanti, immagini, ricordi. A volte ben ordinati, un mese dopo l’altro. Altre volte in ordine sparso, così come la memoria li ritrovava tra i pensieri. Un rito. Un po’ come scrivere su un angolo strappato dal quaderno una cosa da buttare e una da tenere e poi far bruciare quei fogli scomposti nel rogo della notte delle streghe, in una Genova che si prepara a cercare i suoi fantasmi mentre celebra il suo patrono San Giovanni Battista.
Per qualche anno il 31 dicembre per me è stato una noce aperta poi chiusa di nuovo. Avevo il mare attorno, forse anche l’aria rende diversi i giorni e i pensieri che questi si portano dietro. C’è stato un momento in cui lo avrei fatto ancora. Pochi giorni fa ero pronta a cercare due gusci perfetti, pronta a dare loro un contenuto alternativo, il mio. Poi ho pensato che non mi servivano contenitori da lasciar dormire in fondo ad un cassetto. Ci sono io che ricordo ogni minuto, che sento gli odori, che vedo ogni faccia, un sorriso, una mano, una parola. Sono il mio guscio.


I BRUSCHI DETTAGLI

Raccontare, vedere poi ascoltare e scrivere. Leggere, chiedere, curiosare. E una pagina bianca per dirlo a qualcuno. Non il Tutto, solo qualche dettaglio

SUL COMODINO

Paul Auster, un po' di Pamuk, Erri De Luca

ULTIME LETTURE

Un uso qualunque di te (Sara Rattaro)

Twitter factor (Augusto Valeriani)

La vita è altrove (Milan Kundera)

1Q84 (Haruki Murakami)

Zita (Enrico Deaglio)

L'animale morente (Philip Roth)

Così è la vita (Concita de Gregorio)

I pesci non chiudono gli occhi (Erri De Luca)

Cattedrale (Raymond Carver)

Lamento di Portonoy (Philip Roth)

Libertà (Jonathan Franzen)

Il dio del massacro (Yasmina Reza)

L'uomo che cade (Don De Lillo)

Il condominio (James G. Ballard)

Sunset limited (Cormac McCarthy)

I racconti della maturità (Anton Cechov)

Basket & Zen (Phil Jackson)

Il professore di desiderio (Philip Roth)

Uomo nel buio (Paul Auster)

Indignazione (Philip Roth)

Inganno (Philip Roth)

Il buio fuori (Cormac McCarthy)

Alveare (Giuseppe Catozzella)

Il Giusto (Helene Uri)

Raccontami una storia speciale (Chitra Banerjee Divakaruni)

Cielo di sabbia (Joe R. Lansdale)

La stella di Ratner (Don DeLillo)

3096 giorni (Natascha Kampusch)

Giuliano Ravizza, dentro una vita (Roberto Alessi)

Boy (Takeshi Kitano)

La nuova vita (Orhan Pamuk)

L'arte di ascoltare i battiti del cuore (Jan-Philipp Sendker)

Il teatro di Sabbath (Philip Roth)

Sulla sedia sbagliata (Sara Rattaro)

Istanbul (Orhan Pamuk)

Fra-Intendimenti (Kaha Mohamed Aden)

Indignatevi! (Stéphane Hessel)

Il malinteso (Irène Némirovsky)

Nomi, cognomi e infami (Giulio Cavalli)

Tangenziali (Gianni Biondillo e Michele Monina)

L’Italia in seconda classe (Paolo Rumiz)

ULTIME VISIONI

Be kind rewind (Michel Gondry, 2007)

Kids return (Takeshi Kitano, 1996)

Home (Ursula Meier, 2009)

Yesterday once more (Johnnie To, 2007)

Stil life (Jia Zhang-Ke, 2006)

Cocaina (Roberto Burchielli e Mauro Parissone, 2007)

Alla luce del sole (Roberto Faenza, 2005)

Come Dio comanda (Gabriele Salvatores, 2008)

Genova, un luogo per dimenticare (Michael Winterbottom, 2010)

Miral (ulian Schnabel, 2010)

Silvio forever (Roberto Faenza, 2011)

Election (Johnnie To, 2005)

Oasis (Lee Chang-dong, 2002)

Addio mia concubina(Chen Kaige, 1993)

La nostra vita (Daniele Luchetti, 2010)

Departures (Yojiro Takita, 2008)

La pecora nera (Ascanio Celestini, 2010)

Flags of our fathers (Clint Eastwood, 2006)

L'uomo che fissa le capre (Grant Heslov, 2009)

Buongiorno Notte (Marco Bellocchio, 2003)

Vallanzasca - Gli angeli del male (Michele Placido, 2010)

Paz! (Renato De Maria, 2001)

Stato di paura (Roberto Burchielli, 2007)

Gorbaciof (Stefano Incerti, 2010)

L'esplosivo piano di Bazil (Jean-Pierre Jeunet, 2008)

Confessions (Tetsuya Nakashima, 2010)

127 ore (Danny Boyle, 2010)

Qualunquemente (Giulio Manfredonia, 2011)

American life (Sam Mendes, 2009)

Look both ways (Sarah Watt, 2005)
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