Aula Magna del liceo scientifico Taramelli, nel cuore di Pavia (“quello che dicono tutti “ah il Taramelli” sono tutti cattivissimi”, ci scherza sopra la vice preside). I genitori sono tutti seduti per l’open day. Devono decidere – si spera insieme ai figli – la scuola superiore. La riforma Gelmini non lascia molte speranze: la seconda lingua straniera non si farà, se non a pagamento e al pomeriggio. Poi sì, ci sarà più matematica e meno latino. Ma le ore scientifiche sono comunque meno rispetto alla sperimentazione del Piano nazionale informatica. Però questo colpisce meno: le famiglie non riescono a buttare giù di dover rinunciare alla lingua straniera che per tre anni i figli hanno studiato alle medie. E’ andata così anche all’open day del Copernico, l’altro liceo scientifico cittadino. Qui i genitori – già una trentina, grosso modo per una ipotetica classe – hanno chiesto al preside di fare qualcosa. Il “qualcosa” che le scuole possono fare è far perdere il posto a un altro paio di insegnanti tagliando le loro ore di lezione a favore delle lingue. Su questo nessun consiglio di istituto riesce a trovare l’accordo. Oppure possono chiedere un contributo alle famiglie, che nella Pavia bene si dicono disposte a pagare piuttosto che perdere qualità nella formazione dei loro bambini. Non tutti potranno però. In mezzo alle famiglie ricche c’è chi magari farà fatica a tirar fuori i soldi per i corsi pomeridiani, ma questo la Scuola di oggi (quella prevista dal governo, non le singole realtà cittadine) sembra non prevederlo. Anzi. Si dice “gli istituti potranno usare il fondo che hanno a disposizione”. Facendo finta di non vedere quell’enorme assegno da 8 milioni di euro che le scuole della provincia di Pavia dovrebbero ricevere dal ministero: sono tutte spese che hanno già anticipato, lo stato dovrebbe restituire i soldi, ma per il momento ha congelato i suoi debiti.
Eppure non vedo le famiglie in rivolta. Non dico i ragazzi che a 14 anni forse non sono ancora del tutto consapevoli. Però la protesta dovrebbe partire dai genitori, che vengono sempre più chiamati a spendere per l’istruzione dei loro figli che dovrebbe essere pagata dallo stato. Ma che devono spendere anche per le piccole cose. Soprattutto nelle elementari le mamme accompagnano i bambini a scuola tenendo lo zaino in una mano e una busta con la carta igienica e il sapone nell’altra. Per dare ai loro figli una biblioteca, i genitori e le maestre della scuola elementare Canna di Pavia hanno prima raccolto un po’ di soldini, poi hanno comprato libri e scaffali, dipinto l’aula, montato i mobili, pulito, sistemato e inaugurato. In un’atmosfera di divertimento con i bambini a correre da una parte all’altra per dare una mano, mentre imparavano la differenza tra un saggio e un romanzo. Bello. Semplicemente senza le famiglie non si sarebbe potuto fare. Che da un lato va bene, partecipare alla vita scolastica è sempre cosa rara e da incentivare, ma le scuole devono potercela fare da sole nell’ipotesi – non poi così lontana – di avere davanti famiglie che non possono permettersi donazioni per i libri della biblioteca.
Ho visto muoversi sulla sedia i genitori, li ho visti commentare uno con l’altro, alzare il tono del brusio, solo quando – tornando all’open day del Taramelli – la vice preside ha spiegato che la scuola, soprattutto nel biennio, ha un obiettivo fondamentale: assicurarsi che i ragazzi sappiano leggere, scrivere e ascoltare. Sì, perché come ha detto ai genitori “i ragazzi spesso arrivano in prima con difficoltà nella lettura, non capiscono il testo se gli si chiede di ripetere, non riescono a stare attenti più di 15 minuti, non sanno prendere appunti, non sanno ascoltare la lezione, hanno difficoltà di scrittura”. Tutti a pensare “va be’, non è il caso di mio figlio”. Ma intanto un liceo scientifico ha deciso da un po’ di anni che mentre insegna latino e matematica, mentre accompagna gli studenti nella storia e nella filosofia, deve riprendere quello che altri non hanno fatto. Deve insegnare agli adolescenti ad alzare la mano e a dire “scusi non ho capito”.
Ecco, alzo la mano. anch’io. Non ho capito perché i genitori si stupiscono se i ragazzi a 14 anni non sanno leggere e scrivere (e poi arrivano ai test dell’università e fanno disastri) ma non dicono niente se ogni anno si tolgono ore di lezione all’italiano, non dicono niente se sapranno solo l’inglese (e con meno ore anche qui) e l’unica cosa che chiedono è “posso indicare la sezione o posso scrivere il nome dell’amichetto con cui mio figlio vorrebbe restare”?