Archivio per giugno 2008

Sbatti la testa contro il Pallone

Foto by Bruschetta

Ultimo giorno di Europei, stasera Spagna e Germania affronteranno la finale. Mi viene da pensare al rapporto della gente con il calcio. E’ argomento di conversazione e socializzazione, il pallone unisce senza fatica i ragazzi, tifosi, appassionati o semplicemente i “non seguo tanto però…”. Il pallone unisce i bambini. Basta davvero poco per giocare, a scuola si usavano palline di carta nel corridoio, ai giardini si vede sempre qualche gruppetto che corre dietro ad un pallone. Il calcio è argomento di “genere”. Viene identificato come topic maschile e spesso le donne devono sbatterci la testa. Che sia provare a capirci qualcosa per stare dietro ai discorsi degli uomini, che sia per lavoro o per curiosità. Discorso a parte la Nazionale, perché che siano Europei o Mondiali, le partite le guardano tutti, ragazze incluse. Il calcio però è anche argomento di “classe”. E’ vero che senza distinzione di lavoro, occupazione, stipendio, età di calcio ne parlano tutti e le peripezie della propria squadra vengono seguite a più livelli. Solo che guardare la partita è diventata azione limitata al salotto di casa, al maxi schermo in piazza o nei bar, perché lo stadio non è più così aperto al grande pubblico. Costa, davvero troppo. E allora sì, i fedelissimi l’abbonamento lo pagano, e uno sforzo per il derby si può fare (Per vedere Genoa-Samp 52 euro li ho pagati), ma non tutte le settimane, non tutti, non sempre.

Tropa de elite

Tropa de eliteHa il viso duro il capitano Nascimento, un filo di cinismo e un equilibrio che si rompe per la troppa violenza vista e provocata, per la paura di non esserci più, soprattutto davanti a un figlio che sta per nascere. Tropa de elite è duro, violento nell’essere una finestra su una realtà che non lascia molte speranze. Non c’è solo droga, non ci sono solo ragazzini uccisi, c’è anche la corruzione, il denaro, il silenzio pagato. E queste truppe armate, la divisa nera e un teschio come stemma: sono gli squadroni della morte, perché quando viene chiesto il loro intervento l’esito è scontato. Tropa de elite (vincitore dell’Orso d’Oro a Berlino nel 2007) mostra la realtà delle favelas brasiliane, la gerarchia del potere, la difficoltà dei giovani a capire e ad accettare. Mostra la violenza da entramIl capitano Nascimentobe le parti. Colpisce l’ “occasione” raccontata nel film. Papa Giovanni Paolo II per la visita in Brasile del 1997 doveva alloggiare vicino a una delle favelas più difficili e per non creare problemi di “sicurezza” viene richiesto l’intervento del Bope, i soldati del corpo speciale, per “fare pulizia”. La musica scandisce la violenza. Il sangue, i colpi, le armi, le minacce lasciano che il film sia nervoso e crudo, un documentario narrato. Ma tremendamente reale. Perché ad essere tremenda è semplicemente la realtà. Così come era stato per Bus 174, sempre del regista brasiliano José Padilha: più documentario e meno film, dove la trama era la successione di fatti ripresi in diretta, il sequestro di un auotobus e il suo tragico epilogo.
La violenza però è anche all’interno del corpo speciale. L’addestramento per selezionare il successore del capitano Nascimento lascia senza fiato. E’ crudele e un po’ ricorda alcuni momenti di Full Metal Jacket di Kubrick. Quella forma di violenza che non è solo fisica, ma vuole anche derisione, umiliazione. Serve a formare il carattere e a preparare alla guerra mangiare il proprio vomito? Non lo so, ma vederlo sullo schermo fa uscire dal cinema in silenzio.

Due disgraziate in cerca di risposte

Capita di incontrare per strada una persona che non vedi da molto tempo. Tu sei con un’amica, la pelle rosso fuoco per il troppo sole nei tuoi due unici giorni di mare, spingi la bici come fosse un mulo con le borse della spesa appese al manubrio e traboccanti dal cestino. Hai una camicia a fiori da vera hippy e così anche la tua amica. Pantaloni corti e larghi che lasciano spuntare lo slip nero, canotta grigia, un’altra bici-mulo da spingere con ancora buste gialle dell’Esselunga. Tra il caldo, la spesa e questo “abito che non fa il monaco”, l’apparenza almeno è di due disgraziate. Che incontrano un vecchio compagno di corso.

Tu cosa fai?”
“Lavoro da maggio in una multinazionale, non è la stessa di prima perché ci siamo lasciati in cattivi rapporti”
“Come mai?”
(Chiedono stupite le due disgraziate)
“Ho chiesto il doppio e non me l’hanno dato, lavoravo 18 ore al giorno. Dove lavoro adesso mi danno un sacco di soldi e quindi ho accettato”

Le due disgraziate a questo punto non fanno la domanda fondamentale: “Scusa quanto guadagni?” Ma anzi sorridono e salutano. Tornate a case, sistemata la spesa, il gelato in freezer, il succo-esperimento-ananas-lime in frigo, la cena per la sera invece resta fuori, le due disgraziate si guardano. “Forse abbiamo sbagliato tutto…”
Con ammirazione per chi può già chiedere il doppio, senza rancore né invidia, solo stupore. E la consapevolezza che fare quello che davvero è il lavoro della vita è sempre diverso. Richiede qualcosa in più.

Stesa sui sassi in riva al mare

Genova Quinto

Primo mare, primo bagno. Bello arrivare in spiaggia alle nove del mattino, stendere l’asciugamano, poi mettere un sottile strato di crema per non diventare rosso peperone. Giornale, musica nelle orecchie e l’odore del mare che riempie l’aria. Bello sentire l’acqua gelida sui piedi, poi immergersi e guardare verso l’alto, la strada, la gente e poi verso l’orizzonte, lo scoglio davanti alla spiaggetta Barracuda di Quinto, le barche a vela del corso per ragazzi, una barca azzurra a remi con un fiore bianco a prua, di chi prende il largo per pescare. Bello potersi prendere una pausa, un lunedì mattina mentre gli altri vanno a lavorare, mentre il tuo mondo quotidiano va avanti, e invece tu per un giorno prendi la strada opposta. Scegli una spiaggia, scegli il mare, concedi qualche ora alla tua voglia di tempo.

Non è una foto scattata stamattina, non è il punto esatto in cui ho steso l’asciugamano. Oggi il cielo era assolutamente blu, il mare piatto, scuro, quasi verdastro. In alcuni momenti al profumo del mare si sostituiva quello della focaccia, di qualche mamma premurosa che consegnava la merenda ai bambini. E’ il profumo di casa, l’odore di Genova. Vissuta in un giorno di tregua, come un turista in visita alla città del mare, come un ricordo a cui si toglie il bianco e nero, un ricordo che si riprende i colori.

Guerra intestina

Guerra intestina nell’uomo tra ragione e passioni.
Se avesse solo la ragione senza le passioni…
Se avesse solo le passioni senza la ragione…
Ma avendo le une e le altre non può evitare la guerra, non potendo ottenere la pace dalle une senza la guerra con le altre; così è sempre diviso e in contraddizione con se stesso.

[Blaise Pascal, I pensieri]

Ripesco i “pensieri” di Pascal dal calderone di parole che mi accompagnano. Quella “guerra intestina” ho imparato a conoscerla sui banchi di scuola, quando sentivo lo stomaco contercersi e indecisa su cosa fare non capivo a quale voce dare retta. Le sensazioni hanno poi trovato le parole di un altro. Pascal mi ha spiegato che quello che sentivo era lo spaccarsi dell’animo tra la strada della ragione e quella della passione. E ho dato un nome a quello che già sapevo. Divisa tra razionalità e sentimento lo sono sempre. A volte lascio vincere la ragione, mi piego a ciò che è giusto fare, almeno secondo le pagine di quel libro immaginario che raccoglie le “regole della nostra vita”. Spesso però guardo fuori dalla finestra e lascio che sia il sole a entrare. Lascio decidere allo stomaco, alla faccia, alle mani, ascolto quello che mi dice il “sentire”, il “provare” e lascio perdere ogni ragionamento. Ma è la sola constatazione di essere divisi tra due anime diverse che comporta una lotta interna. Si è sempre un po’ vincitori. E si è sempre un po’ perdenti.

Primo giorno di Maturità

il temaOre 8.30. On line le prime indiscrezioni sulle tracce dei temi della maturità 2008. Montale, la comunicazione, articolo 24 della costituzione, la donna nel ‘900. Poi si aggiunge anche il diverso nell’arte. Un po’ di curiosità di mettermi davanti alle tracce dei temi e provare a decidere quale avrei scelto c’è… e non manca anche il pensiero malsano di mettermi a scrivere il tema scelto. So che non avrei seguito i versi di Montale… non per la poesia, non per il poeta, ma perché non mi è mai piaciuta la tipologia “analisi del testo”, non mi piaceva rispondere alle domande, volevo governare io l’inizio e la fine del mio tema. La traccia sulla comunicazione l’avrei giudicata banale, forse mi ci sarei soffermata qualche minuto, per provare a ideare un incipit curioso, magari una simulazione di conversazione via sms, poi però lo avrei scartato. Oggi credo scriverei di sicurezza sul lavoro, ieri avrei optato per il diverso nell’arte. Ci pensavo stamattina mentre curiosavo tra i vari siti skuola.net o studenti.it, poi ovviamente ho solo pensato alla scelta, non mi sono messa a scrivere. Pigrizia forse, o razionalità.

Ma sul tema della maturità mi è arrivata dopo poche ore l’occasione per un altro ricordo. Passeggiavo con Alice che mi ha chiesto: “Ma secondo te quando passano un po’ di anni è possibile avere una fotocopia del proprio tema di maturità?”. Allora ho sorriso. “Il mio ce l’ho”. E per questo devo ringraziare chi quel giorno decise di farmi un regalo: racchiudere in una cartellina blu quei protocolli sulla memoria storica e il futuro. Per essere una delle poche ad avere tra le mani il famoso tema della maturità.

La Maratona di Belgioioso

70 ragazzi, divisi in 10 squadre, 2 gironi per una maratona di calcio a 5 di quasi 12 ore. A Belgioioso l’oratorio don Luigi ha rinnovato la tradizione della “Maratona”. Squadre estratte a sorte, partite una di seguito all’altra, anche sotto la pioggia che domenica a tratti rendeva più difficile assistere e giocare. Non tutti all’interno della squadra si conoscevano, ma hanno imparato a farlo nel corso della giornata. Alcuni si sono ritrovati a distanza di un anno. Quello che colpisce è come può unire un pallone. Una giornata faticosa fatta di dodici ore di calcio ininterrotto, di spirito di competizione ma anche di complicità e di pacche sulla spalla, di strette di mano, di complimenti, di scuse. Colpisce che i ragazzi sanno fare gruppo subito, non si fanno problemi, sono ricettivi. Colpiscono i piccoli gesti. Quelli di un gruppo unito da una passione per lo sport, dall’impegno per far andare tutto bene. Colpisce come in pochi minuti nonostante fosse l’una di notte i ragazzi si sono messi a pulire e mettere a posto. Colpisce il senso di comunità, quando correre dietro al pallone diventa un modo per essere tutti parte dello stesso mondo. Si respirava un’aria pulita nel campetto di Belgioso.

Chiusa…

…come la porta della stanza, le due metà di una noce, come un barattolo di sugo pronto, come una scatola che raccoglie vecchie foto, lettere e bigliettini. Chiusa come l’ultimo cassetto della scrivania, come i negozi in città ad agosto, come una scatola di biscotti che non si vuole aprire per non mangiarli tutti. Chiusa come il cinema d’estate, come la piscina in inverno. Con un dito appoggiato sulle labbra si può chiedere il silenzio, lo si può chiedere anche a se stessi, ma le cose da dire rimangono. E allora bisogna solo aprire il barattolo, togliere il coperchio alla scatola. E’ difficile, perché è tutto sigillato, forse basterà un buchino sul fondo per far scorrere granelli di pensieri.

La giusta distanza

La giusta distanza - 2007Esiste una giusta distanza? Tra i personaggi del film di Carlo Mazzacurati si intrecciano riflessioni sul posto che ciascuno deve avere rispetto agli altri, in un paesino dove tutti si conoscono e arriva una giovane “esterna” ad attirare l’attenzione. Ci sono sentimenti e c’è il giallo del mistero. Filosofia e amore, poi pregiudizi, giudizi, sempre chiedendosi chi ha infranto la giusta distanza.
Il vecchio giornalista suggerisce al giovane cronista di imparare a stare nel punto giusto: non troppo lontano, ma nemmeno troppo vicino perché si corre il rischio di rimanere impantanati nei sentimenti. Non bisogna provare emozioni dunque, o almeno non farle prevalere. Eppure credo non si possa prescindere da quello che si prova, bisogna saperlo trattenere e usarlo nelle parole, perché chi scrive deve trasmettere emozioni, impressioni, colori, suoni, brividi a chi non può assistere direttamente a un fatto. Non ci sono solo dati, non ci sono solo nomi, dietro rimangono le persone. Ed è questo credo uno dei messaggi del film di Carlo Mazzacurati.
Ma non c’è solo la giusta distanza nel lavoro, c’è anche quella nei rapporti con le persone. Impossibile non tener presente la prossemica, le distanza tra le persone nel film segnano sospetti e svolte. Quando il confine dello spazio personale viene superato diventa amore, passione o fastidio, persino morte. La giusta distanza - 2007Non c’è giusta distanza poi proprio in cui giudica, perché davanti a un imputato straniero prevale il pregiudizio rispetto alla verità o almeno all’indagine per ottenerla.
Mi piace l’immagine della giovane esterna che irrompe in paese avvolta in un cappotto rosso. Mara si catapulta per lavoro in un paesino avvolto nella nebbia, vive da sola, beve tazze di tè, scrive seduta a un tavolo che si affaccia sul verde. Si innamora di Hassan, meccanico tunisino scappato dal suo paese da un matrimonio combinato. Lei vive, non pensa o pensa troppo, è pronta a partire anche se ha trovato l’amore. Sorride agli altri, perché sorride a se stessa.

Lo scafandro e la farfalla

Lo scafandro e la farfalla - 2007All’improvviso può cambiare tutto. E diventare molto più difficile. Lo scafandro e la farfalla (regia di Julian Schnabel) è tratto dal libro di Jean-Dominique Bauby, caporedattore di Elle che nel 1995 è rimasto paralizzato dalla testa ai piedi a causa di un ictus. Dopo tre settimane di coma, al suo risveglio poteva muovere solo la palpebra dell’occhio sinistro. Quell’unico movimento è diventato il suo modo per comunicare: un battito per dire sì, due per dire no. Per aiutarlo a comporre le parole chi gli stava accanto leggeva ad alta voce le lettere dell’alfabeto in ordine di frequenzza d’uso, ed è in questo modo che Jean-Dominique Bauby è riuscito a scrivere il libro sulla sua storia, uscito nel 1997. Lui morì pochi giorni dopo, il 9 marzo. La sua immagine è difficile da accettare, il suo desiderio di morire sembra condivisibile. Eppure nella possibilità di tornare in qualche modo a scrivere, e nella libertà di pensiero unico pezzo di sè rimasto in assoluLo scafandro e la farfalla - 2007to movimento, sta la forza che lo ha fatto andare avanti. Lo scafandro e la farfalla fa pensare che quello che ci sembrava una certezza, quello che era una banalità, l’abitudine quotidiana, può venir meno senza possibilità di rassegnarsi a questa idea. La sua immagine è straziante, lo scafandro in cui si sente rinchiuso lo soffoca nel corpo, ma il suo “io” farfalla riesce a volare, grazie a chi gli sta accanto. Il film è quasi sempre visto con il suo occhio, mostra stralci di soffitto se è questo quello che vede, è appannato se piange, e le facce si deformano se si avvicinano troppo. Poi c’è la sua voce, la sua risata, i commenti alle parole di chi sta accanto al suo letto d’ospedale. Quella voce la sentiamo solo noi che guardiamo, per tutti gli altri c’è solo silenzio.

Guarda come corre

Eppure ci sono momenti in cui pensi non sia necessario avere il controllo su tutto. In cui credi di poter essere meno esigente, di poter lasciar correre. Poi le cose però scorrono davvero e forse bisognerebbe impegnarsi a osservarle con più attenzione. Ci sono momenti in cui non pensi a quello che ti circonda, e se anche ti poni delle domande, inspiegabilmente le lasci senza risposta e non te ne preoccupi. Però prima o poi dovrai chiedere una pausa, prenderti una giornata intera e decidere cosa fare davvero, del tuo tempo e di tutte quelle domande che hai messo da parte.

Quando l’imperatore diventa divino

Qualche dettaglio per un film, Il divo di Paolo Sorrentino, che colpisce per quello che racconta, ma anche per il modo, per i colori, gli attori, la musica.

La sequenza di morti commissionate e assurde, quelle mani che si intrecciano, che restano appoggiate alle ginocchie, che giocano con la fede. La passeggiata notturna verso la chiesa per confessarsi, con la scorta armata che lo affianca, lentamente a passo d’uomo. La “confessione” alla moglie Livia, seduto da solo in una stanza, un monologo urlato, poi sussurrato, questa volta non controllato. “I migliori anni della nostra vita” di Renato Zero, colonna sonora dell’unico momento di affetto tra Giulio Andreotti e sua moglie, la mano di lui appoggiata su quella di lei che per prima la tende verso suo marito. Nient’altro. Lei si commuove, a fatica trattiene le lacrime. Lo guarda per capire cosa prova, le guance non sono rigate, capisce che è Il Divo - Sorrentinovivo perché il collo sopra la camicia pulsa. Poi le inquadrature, alcune attraverso i suoi occhiali quadrati, in un movimento continuo per riprendere da più posizioni. E poi il Potere. L’intreccio di mani e favori, il “caso” e le coincidenze. I morti, quanti morti. Le famiglie, i pentiti, i mafiosi che accusano il divo. Il bacio con Totò Riina. I due si guardano, seduti. Poi Andreotti si alza per primo e si vanno incontro. Colpisce il modo di dire e spiegare i fatti: quello skateboard che corre nel corridoio tra i piedi dei politici. Visto qualche scena prima con la dinamite attaccata per uddidere Falcone. Quelle ruote su quel pavimento, per dire siete stati anche voi.

Non bisogna confidarsi nemmeno con se stessi… perché non si devono lasciare tracce.


I BRUSCHI DETTAGLI

Raccontare, vedere poi ascoltare e scrivere. Leggere, chiedere, curiosare. E una pagina bianca per dirlo a qualcuno. Non il Tutto, solo qualche dettaglio

SUL COMODINO

Paul Auster, un po' di Pamuk, Erri De Luca

ULTIME LETTURE

Un uso qualunque di te (Sara Rattaro)

Twitter factor (Augusto Valeriani)

La vita è altrove (Milan Kundera)

1Q84 (Haruki Murakami)

Zita (Enrico Deaglio)

L'animale morente (Philip Roth)

Così è la vita (Concita de Gregorio)

I pesci non chiudono gli occhi (Erri De Luca)

Cattedrale (Raymond Carver)

Lamento di Portonoy (Philip Roth)

Libertà (Jonathan Franzen)

Il dio del massacro (Yasmina Reza)

L'uomo che cade (Don De Lillo)

Il condominio (James G. Ballard)

Sunset limited (Cormac McCarthy)

I racconti della maturità (Anton Cechov)

Basket & Zen (Phil Jackson)

Il professore di desiderio (Philip Roth)

Uomo nel buio (Paul Auster)

Indignazione (Philip Roth)

Inganno (Philip Roth)

Il buio fuori (Cormac McCarthy)

Alveare (Giuseppe Catozzella)

Il Giusto (Helene Uri)

Raccontami una storia speciale (Chitra Banerjee Divakaruni)

Cielo di sabbia (Joe R. Lansdale)

La stella di Ratner (Don DeLillo)

3096 giorni (Natascha Kampusch)

Giuliano Ravizza, dentro una vita (Roberto Alessi)

Boy (Takeshi Kitano)

La nuova vita (Orhan Pamuk)

L'arte di ascoltare i battiti del cuore (Jan-Philipp Sendker)

Il teatro di Sabbath (Philip Roth)

Sulla sedia sbagliata (Sara Rattaro)

Istanbul (Orhan Pamuk)

Fra-Intendimenti (Kaha Mohamed Aden)

Indignatevi! (Stéphane Hessel)

Il malinteso (Irène Némirovsky)

Nomi, cognomi e infami (Giulio Cavalli)

Tangenziali (Gianni Biondillo e Michele Monina)

L’Italia in seconda classe (Paolo Rumiz)

ULTIME VISIONI

Be kind rewind (Michel Gondry, 2007)

Kids return (Takeshi Kitano, 1996)

Home (Ursula Meier, 2009)

Yesterday once more (Johnnie To, 2007)

Stil life (Jia Zhang-Ke, 2006)

Cocaina (Roberto Burchielli e Mauro Parissone, 2007)

Alla luce del sole (Roberto Faenza, 2005)

Come Dio comanda (Gabriele Salvatores, 2008)

Genova, un luogo per dimenticare (Michael Winterbottom, 2010)

Miral (ulian Schnabel, 2010)

Silvio forever (Roberto Faenza, 2011)

Election (Johnnie To, 2005)

Oasis (Lee Chang-dong, 2002)

Addio mia concubina(Chen Kaige, 1993)

La nostra vita (Daniele Luchetti, 2010)

Departures (Yojiro Takita, 2008)

La pecora nera (Ascanio Celestini, 2010)

Flags of our fathers (Clint Eastwood, 2006)

L'uomo che fissa le capre (Grant Heslov, 2009)

Buongiorno Notte (Marco Bellocchio, 2003)

Vallanzasca - Gli angeli del male (Michele Placido, 2010)

Paz! (Renato De Maria, 2001)

Stato di paura (Roberto Burchielli, 2007)

Gorbaciof (Stefano Incerti, 2010)

L'esplosivo piano di Bazil (Jean-Pierre Jeunet, 2008)

Confessions (Tetsuya Nakashima, 2010)

127 ore (Danny Boyle, 2010)

Qualunquemente (Giulio Manfredonia, 2011)

American life (Sam Mendes, 2009)

Look both ways (Sarah Watt, 2005)
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