Archivio per agosto 2010

Granada, conquistata, divisa ma finalmente una città viva

Subito la sensazione di essere in una città “normale”. Il supermercato di quartiere, il panificio, e poi l’elettricista. Un piccolo bar dove la colazione è rigorosamente andalusa: caffè e tostado (metà panino con sopra pomodoro fresco e olio). I turisti ci sono, per carità, anche troppi, ma Granada riesce a tenersi stretta la sua dimensione. E’ una città divisa, ma armoniosa. La ricchezza del centro e poi lo sguardo che corre lontano verso l’Albaicin, il barrio arrampicato sulla collina che porta al Sacromonte, quartiere in stile arabo, bianco, stradine e lampioni, piazzette con alberi e giardini nascosti. Ma Granada è anche una città conquistata. Le chiese sono state costruite sulle macerie delle moschee, grosse croci di pietra segnano il territorio. Eppure le linee sinuose arabe sono ovunque. Curioso che la Caldareria Nueva, la strada dell’Albaicin che ospita le teterie arabe, finisca proprio davanti alle vetrine delle edizioni Paoline. Intatta – anche se nei secoli più volte restaurata e modificata – è l’Alhambra. E’ l’unico palazzo arabo costruito nel Medioevo rimasto intatto: i re cattolici lo graziarono. Invece di abbatterlo ci costruirono sopra e attorno. Terribile infatti il palazzo di Carlo V. In tutte le librerie e nei negozietti del centro si trova un libro in vendita in più lingue: Racconti dell’Alhambra di Washington Irving. Storico e diplomatico nordamericano. Soggiornò a Granada nel 1829 e raccolse in un libro le leggende, i racconti e le voci su quella che un tempo era la fortezza del sultano. E’ un libro citato in continuazione come la guida più completa per cogliere la storia dell’Alhambra. Mi sono chiesta: perché gli spagnoli affidano un pezzo di storia (e di arte, turismo, architettura, etc etc) a un americano? Ho trovato la risposta sulla Routard. E’ solo grazie all’interesse di Irving che si inizio il restauro dell’Alhambra, in stato di abbandono dal 1526.

Malaga/2, la cultura della demolizione

E’ come se un momento prima una bomba avesse distrutto la città, buttato giù un palazzo. Disperazione e devastazione, per pochi minuti. E’ uno dei volti di Malaga. Strade sventrate, di alcuni edifici resta la facciata, dentro il vuoto. Si aprono voragini, gole di mattoni svuotate da sabbia e piastrelle. Si vedono ancora le mattonelle del bagno e della cucina. Un giorno c’è ancora una porta aperta che si affaccia su una stanza fantasma, il giorno dopo c’è solo il niente. Ci sono ancora pagine di giornali attaccate al muro, forse il poster improvvisato di una ragazzina.

Anche dietro all’ufficio del turismo, stretto tra le transenne di un cantiere, lo sfondo è lo stesso: la calce bianca di un palazzo che non c’è più, e i segni più scuri a indicare quelle che un tempo erano le pareti. Capita però di vedere muri di un giallo intenso, quasi arancione. Uno strato di schiuma, simile a gomma piuma. E’ per l’umidità. Per non danneggiare le case vicine, e come per un virus dover abbattere anche quelle. Malaga è una delle venti città candidate a capitale europea della cultura per il 2016. Forse dovrebbe partire dalle ferite aperte.

Siviglia, la città che brucia

Ore 7.45 il treno da Malaga per Siviglia parte in perfetto orario. I bagagli vengono controllati come in aeroporto, in stazione (appendice di un enorme centro commerciale) non c’è quasi nessuno. Nel tragitto ostello-stazione vediamo una città ancora addormentata, avvolta dal buio. Il kebbaro però è esattamente come lo abbiamo lasciato la sera prima: sedie bianche sul marciapiede per parlare e guardare la gente che passa. Il sole qui sorge alle 8. Il viaggio per Siviglia dura poco meno di tre ore. Si dorme. Fuori è il deserto. Distese di pianura e dolci colline bruciate dal sole. Case bianche, o decine di villette gialle e rosse, come la terra, sdraiate sotto il sole. Che brucia. Siviglia è caldissima. Solo verso sera siamo riuscite a dare un valore numerico alla senzazione di calore: ore 19.30 41 gradi all’ombra.

Siviglia è da vedere, mi hanno detto. In effetti sì, non si poteva non passare di qui. Lasciamo stare la periferia, facciamo finta che la porta della città sia il prado de San Sebastian, un parco che accompagna verso quello più grande, il parque Maria Luisa, che racchiude plaça de Espagna. Nel 1929 qui c’era stata l’Esposizione ispano-americana. Ci sono 58 panchine di azulejos a rappresentare le altrettante province della Spagna, e poi ponticelli, fontane, portici.

Santa Cruz è il quartiere della cattedrale, dell’Alcazar, delle stradine con i palazzi bianchi di calce. E’ la città dei pellegrini, che qui vengono per la Pasqua. Agosto, mese dei vacanzieri, è bassa stagione. Dentro alla cattedrale c’è il mausoleo di Cristoforo Colombo. Qui ci sono le sue spoglie. O forse no, se si dà ragione a Santo Domingo che rivendica le stesse ossa.

Oggi, sabato, a Siviglia passa la Vuelta, il loro giro d’Italia. Transenne, furgoncini pubblicitari, camion. Attesa. Noi ci siamo state venerdì, giorno di preparativi.

Ah, i treni possono anche arrivare in anticipo.

Malaga, madre de dios

Madre de dios, dove siamo finite? Ce lo siamo chieste subito. Già sul pullman dall’aeroporto verso il centro di Malaga io e Alice ci siamo guardate un po’ stupite. Va bene la cementificazione della costa, va bene l’assalto dei palazzi già preannunciato dalla Routard, ma così è un po’ troppo. Decine e decine di piani di quasi-grattacieli tutti uno diverso dall’altro. Picasso, che qui c’è nato il 25 ottobre 1881, probabilmente non sarà molto contento. Per fortuna il centro storico restituisce un po’ di serenità. Stradine bianche, tavolini all’aperto, posti nascosti come El Pimpi, bodega dal profumo intenso di botti di legno, vecchie fotografie e pezzi di storia.

Dettagli in ordine sparso. Malaga, ma abbiamo capito che non è la sola, è un cantiere aperto. Il governo spagnolo qui ha garantito nuovi fondi per andare avanti con almeno 4 grandi opere, tra cui un miglior collegamento con l’aeroporto. Nella speranza di veder finire i lavori. In effetti ci sono ruspe ovunque, anche qui in Calle Hinestrosa, dove la Casa del las Mercedes ci ospita. Bellissimi i vasi appesi alle pareti dei cortili interni.

Le parole degli altri. Anche per me.

Parole scritte e pensate da altri. Per me. Anche per me. E’ il pensiero in cui mi cullo. Mentre bevevo il caffè stamattina leggevo qualche pagina di McCarthy. Poi distogliersi da quelle pagine è dura, sai che devi mettere in movimento il corpo e che non puoi, proprio non puoi, soffermarti troppo su quelle parole. Non è dura per il piacere – interrotto – della lettura. Ma solo perché poi devi misurarti con tutt’altro mondo, impossibile il confronto. Qualche ora più tardi cerco le parole dedicate ai pesci. Orizzonti da ampliare, isole da cercare. Mondi diversi insomma. Mondi in cui le biciclette si arrampicano come lucertole su una parete bianca. E le parole di McCarthy mi tornano in mente, lette solo poche ore prima.

“Ci sono cose che non decidi tu. Il prendere decisioni non ha niente a che fare con certe cose. (…) Quello che non va in questa storia è che non è una storia vera. Gli uomini hanno in testa un’immagine di come sarà il mondo. Di come loro saranno dentro questo mondo. Il mondo può avere diversi aspetti per ciascuno di loro. Ma c’è di sicuro un mondo che non esisterà mai ed è proprio questo il mondo che sognano”.

(Città della pianura, Cormac McCarthy)

“La foca vi guarda. Stupita. Cosa ci fate qui, si chiede, come siete finiti qui. Quale genere di corrente seguite, quale nuoto controcorrente, per arrivare alla roccia desera, allo scoglio sperduto. La foca vi fissa, un attimo incerta, perché si trova di fronte un altro occhio di foca, il vostro, e alquanto smarrito. Nel vostro vagare siete un po’ come Latona, che nessuna isola voleva: l’accolse solo la poverissima Delo, a partorire Apollo sotto la famosa palma. A quel punto, in quell’isoletta, tutto divenne d’oro. Così voi. State per generare ricchezza, prosperità, qualità, amore. Ma proprio nell’angolo di mare dimenticato da tutti”.

(Pesci, Oroscopo, La repubblica delle Donne)

“Negli ultimi vent’anni ho usato un solo tipo di scarpe: le Converse alte nere. Le ho messe ai matrimoni e per andare a correre, alla festa di diploma di mia figlia e ai miei spettacoli. Sono troppo abitudinario? Decisamente sì. Tu però, Pesci, non fare come me. Qualunque sia la tua versione delle Converse nere, le prossime settimane saranno il momento ideale per cambiare. Rompi la monotonia, amplia i tuoi orizzonti. Prova a presentarti in modo diverso, come se io decidessi di passare ai mocassini di camoscio o agli stivali da cowboy in pelle di serpente”.

(Pesci, Oroscopo Internazionale)

In coda per il gelato, è Grom

Mio fratello mi assicura che c’è sempre gente. Eppure mi fermo qualche minuto a guardare. La coda per comprare il gelato da Grom (aperto da pochi mesi in via San Lorenzo a Genova) supera la porta e si ferma a metà della via. Ma mentre tiro fuori la macchina fotografica di gente ne arriva altra. Ma il gelato è buono? Sempre mio fratello mi dice di sì… però costa venti euro al chilo (o giù di lì). Insomma, non poco. Così – oggi che posso usare Google – cerco su internet. Grom è una gelateria nata a Torino nel 2003. In sette anni hanno aperto negozi in 31 città italiane, e poi New York, Malibu, Parigi, Tokio.  Hanno gusti strani. Il limone si chiama “limone Sfusato di Amalfi”,  poi c’è la “nocciola Tonda Gentile Trilobata delle Langhe”, la pesca di Leonforte, il pistacchio di Bronte, la fragolina di Ribera. Sono un marchio ecosostenibile: niente plastica ma un materiale che si chiama Materbi (che deriva dall’amido di mais), solo gli ingredienti migliori. Bisognerà assaggiarlo…

Una giornata senza Google

“Come faremmo senza Google”? Lo dice Anna, mia collega, ad alta voce, dall’altra parte dell’open space. Così decidiamo di provarci. Una giornata – quella di oggi – senza usare Google e comunque senza un motore di ricerca. 

Io – ore 13

Stamattina ho acceso il computer verso le 9.30. Ho controllato la posta, personale e del lavoro, una sbirciatina su Facebook, il sito di Repubblica. Poi colazione, mi sono vestita al volo e sono uscita. In giro per servizio, sono rientrata in redazione poco dopo mezzogiorno. Stavo per cedere alla tentazione alle 13 in punto per un dubbio lessicale. Che mi sono fatta passare. E il secondo dubbio l’ho risolto con un collega.

Anna – ore 15

Come si fa a fare la giornalista senza motori di ricerca? E come si fa a scoprire se i Depeche mode faranno un concerto in Italia a breve senza passare da Google? A metà giornata devo già ringraziare un collega che mi ha ricordato i danni provocati dalla puntura di un calabrone, un archivio pdf dei vecchi numeri del giornale per ricostruire la storia di una storica pizzeria pavese e ciò che resta della mia memoria senza l’estensione esterna del motore di ricerca che aiuta a risolvere i dubbi. Anche quelli più stupidi. Ma che non vorresti mai vedere tramutati in Gaffe con la “G” maiuscola sul giornale del giorno successivo.
L’astinenza, però, si fa sentire.
Io – Ore 16.30
Dovrei cercare informazioni sul centro anziani di Città Giardino, sede dell’azienda di promozione sociale del quartiere. Se oggi fosse una giornata normale butterei qualche parola chiave sul caro Google, ma siccome oggi non è una giornata normale ho usato il telefono, caro vecchio telefono. Ancora meglio la bacheca in via Acerbi, dove sotto vetro è conservato l’elenco del consiglio di amministrazione. Anna sta iniziando ad odiarmi… perché non può usare Google per cercare gli effetti delle punture di vespe e calabroni. Che pesce è il “caracio”? Lo avrei chiesto al mio motore di ricerca preferito… lo chiedo al mio collega vicino di scrivania. Che mi corregge: “Si dice carassio, ed è una classe di pesci”. Ok lo posso scrivere.  
Io – ore 18
Non posso usare nemmeno Google-Maps…
Anna – ore 18.37
Il caposervizio mi chiede: “Ma proprio oggi dovevi stare in astinenza da Google?”. Il fatto è che internet ti semplifica la vita. E riduce i tempi. Soprattutto se devi occuparti di calabroni e scoprire la differenza tra una vespa “germanica”, “cartonaia” e “muratrice”, e gli effetti delle punture degli “imenotteri”. Ed è il 18 agosto. Beh, detto fatto. Neuroni elastici e via: cerco di ricordarmi se a pavia c’è un entomologo, ma mi viene in mente solo un etologo. Risalgo con virtuose peripezie cerebrali al nome, lo cerco nell’agenda, lo disturbo durante una camminata in montagna. E mi spiega i segreti delle società di calabroni e via dicendo. Poi resta il dilemma delle reazioni. Niente 118, non ci rispondono. La salvezza arriva dalla collega che si occupa di sanità, che mi recupera a memoria un allergologo di fiducia. Che risponde dal mare, ma è molto gentile e preparato.
Ora resta solo da trovare la foto. Ma se sull’archivio Ansa digiti “Calabrone” spunta solo Ken Follett che suona la chitarra: misteri dell’informatica.
Io – ore 21
I numeri di telefono si possono trovare sulle pagine bianche. I dubbi si possono risolvere sfogliando il dizionario. Strade, piazze, incroci si possono controllare su una mappa, appesa in ufficio. Però senza Google non puoi cercare il titolo dell’album di un cantante di cui proprio non ti ricordi, non puoi verificare nomi, luoghi. Devi sapere a memoria gli indirizzi dei siti internet che usi più spesso, o almeno devi averli salvati tra i “preferiti”. Per fortuna c’è sempre qualcuno a cui chiedere. Il numero dei residenti di un quartiere l’ho chiesto a un consigliere comunale, e sapendo che questa era la giornata-senza-google al mattino ho segnato per bene nomi, cognomi, dettagli perché sapevo non sarebbe stato facile trovarli. In questo preciso istante vorrei anche cercare le convocazioni del Liverpool per capire quale sarà il destino di Sculli (Genoa o Inter?), la Gazzetta stasera non mi aiuta. Ma, fino a mezzanotte, non posso.  
Conclusione? Ci culliamo nella pigrizia, con la certezza di avere una rete tecnologica a salvarci. Per tutta la giornata c’è chi ci ha ricordato che anni fa si lavorava persino senza telefonino, con le tasche piene di gettoni per poter dettare da una cabina dispersa nella nebbia il pezzo in tempo per andare in stampa. Non mi sento figlia dei motori di ricerca, ma perché complicarsi la vita?

Anna – ore 22
Missione compiuta. God bless l’archivio del giornale, la mia agenda ei colleghi. Devo ammettere che è stato divertente (salvo quando hodovuto zampettare fino al dizionario nell’armadio e ho avuto unlast-minute-doubt sul percorso di una strada statale del pavese). Eper stasera ho scelto la disintossicazione totale: cucinasperimentale, radio e pagine scritte. Senza tentazioni a led. Sempre che entro mezzanotte non mi venga un altro dubbio amletico: suppongo che i miei coinquilini felini non riescano a rispondermi. O meglio, io non capisco sempre… Ci vorrebbe il traduttore di Google!

Diario dell’assenza

Quando si ama qualcuno, si ha sempre il tempo per quella persona. E se quella non viene da noi, allora noi l’aspettiamo. In questo modo, aspettare diventa tanto imperativo quanto respirare. Ma a respirare impariamo proprio aspettando. L’attesa ci insegna a convivere con l’assenza, e noi finiamo per affezionarci a un sogno come se fosse vero. Allora, la vita si trasforma in una stazione ed è il vento ad annunciarci l’arrivo del treno, prima ancora del colpo d’occhio. L’amore nell’attesa ci insegna a vedere il futuro, a desiderarlo, a organizzare ogni cosa affinché sia possibile. E’ forse per questo che ho già imparato ad aspettare, rimettendo alla vita tutto quello che non so, o non posso scegliere. Perché è più facile aspettare che desistere. E’ più facile desiderare che dimenticare. E’ più facile sognare che darsi per vinti. E, per chi vive sognando, è molto più facile vivere.

(Margarida Rebelo Pinto, Diario della tua assenza)

Pochi passi in libreria, un giro tra gli scaffali. Una copertina bianca, un editore (Vertigo) che non conosco. E una mela tagliata a metà, già un po’ annerita. E’ una scrittrice portoghese, sfoglio le pagine velocemente, parla di Lisbona, nomina anche quel paese sospeso nel tempo che è Nazarè. Si legge subito, non è un capolavoro. Ma ancora una volta, senza cercarla, trovo la saudade.

Dove c’era un cinema oggi c’è…

Storie di cinema che smettono di essere cinema. Che smettono di accogliere gente, di incantare, che smettono di essere una tela bianca su cui proiettare immagini. Guardo il Kursaal sventrato a Pavia. Si cercano ricordi. La gente si ferma in bicicletta, frena all’improvviso, smette di parlare al cellulare oppure descrive a chi sta dall’altra parte questo vuoto. Di cinema che muoiono e vedono nascere dalla cenere tutt’altro ne ho visti diversi anche a Genova. A Pavia faranno appartamenti di lusso dove c’erano poltroncine e tendoni. A Genova negozi. In via xx settembre al posto di una grossa sala avevano aperto un enorme Benetton. Ora, in quello stesso spazio, ci sono le vetrine di H&M. Più in basso, sempre in via xx settembre il cinema Orfeo ha lasciato il posto – ancora una volta – a Benetton. Non è questione di vecchi cinema VS multisala. A Genova resistono gloriose piccole sale nascoste nei vicoli. Ed è chiuso, con poca chiarezza sul futuro, il Cineplex, multisala nel porto antico, in piena Expo, zona acquario. E’ la mano degli affari che prevale. In una strada come via xx settembre che taglia il centro da piazza De Ferrari fino alla Foce i cinema non hanno speranze, devono lasciare il posto alle grandi marche. A Pavia l’assenza dei cinema si sente. In questi giorni d’estate le proiezioni all’aperto nel cortile dell’istituto Vittadini registrano sempre il pieno. Tutti film che Pavia non ha mai visto. Le sale “tradizionali” in inverno si spostano verso generi di massa, grandi nomi, attoroni. E il progetto della multisala in piazzale Oberdan è impantanato nella crisi economica. Manca qualcosa.


I BRUSCHI DETTAGLI

Raccontare, vedere poi ascoltare e scrivere. Leggere, chiedere, curiosare. E una pagina bianca per dirlo a qualcuno. Non il Tutto, solo qualche dettaglio

SUL COMODINO

Paul Auster, un po' di Pamuk, Erri De Luca

ULTIME LETTURE

Un uso qualunque di te (Sara Rattaro)

Twitter factor (Augusto Valeriani)

La vita è altrove (Milan Kundera)

1Q84 (Haruki Murakami)

Zita (Enrico Deaglio)

L'animale morente (Philip Roth)

Così è la vita (Concita de Gregorio)

I pesci non chiudono gli occhi (Erri De Luca)

Cattedrale (Raymond Carver)

Lamento di Portonoy (Philip Roth)

Libertà (Jonathan Franzen)

Il dio del massacro (Yasmina Reza)

L'uomo che cade (Don De Lillo)

Il condominio (James G. Ballard)

Sunset limited (Cormac McCarthy)

I racconti della maturità (Anton Cechov)

Basket & Zen (Phil Jackson)

Il professore di desiderio (Philip Roth)

Uomo nel buio (Paul Auster)

Indignazione (Philip Roth)

Inganno (Philip Roth)

Il buio fuori (Cormac McCarthy)

Alveare (Giuseppe Catozzella)

Il Giusto (Helene Uri)

Raccontami una storia speciale (Chitra Banerjee Divakaruni)

Cielo di sabbia (Joe R. Lansdale)

La stella di Ratner (Don DeLillo)

3096 giorni (Natascha Kampusch)

Giuliano Ravizza, dentro una vita (Roberto Alessi)

Boy (Takeshi Kitano)

La nuova vita (Orhan Pamuk)

L'arte di ascoltare i battiti del cuore (Jan-Philipp Sendker)

Il teatro di Sabbath (Philip Roth)

Sulla sedia sbagliata (Sara Rattaro)

Istanbul (Orhan Pamuk)

Fra-Intendimenti (Kaha Mohamed Aden)

Indignatevi! (Stéphane Hessel)

Il malinteso (Irène Némirovsky)

Nomi, cognomi e infami (Giulio Cavalli)

Tangenziali (Gianni Biondillo e Michele Monina)

L’Italia in seconda classe (Paolo Rumiz)

ULTIME VISIONI

Be kind rewind (Michel Gondry, 2007)

Kids return (Takeshi Kitano, 1996)

Home (Ursula Meier, 2009)

Yesterday once more (Johnnie To, 2007)

Stil life (Jia Zhang-Ke, 2006)

Cocaina (Roberto Burchielli e Mauro Parissone, 2007)

Alla luce del sole (Roberto Faenza, 2005)

Come Dio comanda (Gabriele Salvatores, 2008)

Genova, un luogo per dimenticare (Michael Winterbottom, 2010)

Miral (ulian Schnabel, 2010)

Silvio forever (Roberto Faenza, 2011)

Election (Johnnie To, 2005)

Oasis (Lee Chang-dong, 2002)

Addio mia concubina(Chen Kaige, 1993)

La nostra vita (Daniele Luchetti, 2010)

Departures (Yojiro Takita, 2008)

La pecora nera (Ascanio Celestini, 2010)

Flags of our fathers (Clint Eastwood, 2006)

L'uomo che fissa le capre (Grant Heslov, 2009)

Buongiorno Notte (Marco Bellocchio, 2003)

Vallanzasca - Gli angeli del male (Michele Placido, 2010)

Paz! (Renato De Maria, 2001)

Stato di paura (Roberto Burchielli, 2007)

Gorbaciof (Stefano Incerti, 2010)

L'esplosivo piano di Bazil (Jean-Pierre Jeunet, 2008)

Confessions (Tetsuya Nakashima, 2010)

127 ore (Danny Boyle, 2010)

Qualunquemente (Giulio Manfredonia, 2011)

American life (Sam Mendes, 2009)

Look both ways (Sarah Watt, 2005)
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